Schwazer e il lato oscuro del campione

Schwazer e il lato oscuro del campione
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Giovedì 9 Agosto 2012, 09:21
Una cosa essere atleti, ben altra essere campioni. E di campioni ne nascono pochi, sono destinati a restare nella storia mondiale dello s port e sono perennemente alla rincorsa di un record assoluto da superare. Essere campioni vuol dire aver conquistato, grazie ai record battuti, un’identità personale a tutto tondo, riconosciuta e unanimemente apprezzata dall’opinione pubblica.



Un campione, in quanto modello di perfezione, totalmente dedito al nutrimento del proprio talento, spinto verso le vette più alte dei sacri valori dello sport, fornito di un grande spirito di sacrificio, non può uscire dall’immagine omologata che tutti si sono fatta di lui: non può che essere una persona «superiore», onesta, forte non solo di muscoli ma di carattere e moralità. I veri problemi del campione non sono legati solo allo sport.



Egli deve fare i conti con se stesso in quanto individuo, in quanto persona, con le sue fragilità, le sue incertezze, le sue virtù e i suoi errori. Sempre, anche nella vita quotidiana, deve essere all’altezza del suo talento. Alex Schwazer ieri, nel suo “me culpa” della conferenza stampa, ha fatto a pezzi la sua immagine di campione, e nel modo più umiliante: piangendo come un bambino e confessando di essere un malfattore dello sport, un atleta sleale che pur di battere gli avversari si droga. Alex ha stravolto l’iconografia del campione, con rabbia e insieme con dolore.



Ha gridato, implicitamente: “Odio essere un campione, odio le immani fatiche per restare lassù, la vita di un essere umano non può esaurirsi nello sport. C’è altro e ho diritto ad altro.” Già nell’atto di doparsi, cercando con vigliaccheria, nella chimica, ulteriori forze per vincere, Alex ha sfigurato se stesso.



È stato il momento di rottura, profondo e forse consapevole, con quel mondo di esasperata competitività e di durissimi stress; con un’immagine di se stesso che lo soffocava. Non ha avuto il coraggio, come avrebbe fatto un adulto che conosce la vita, di abbandonare il suo mestiere di campione con una semplice comunicazione ufficiale: “Mi basta la medaglia d’oro di Pechino! Arrivederci a tutti!” Non ha avuto il coraggio di voltare pagina perché lo avrebbero preso per pazzo.



Così a decidere è stata la sua parte più istintiva, segreta e irrazionale, ma anche la più ambigua. Si è voluto far del male ed è stato vile due volte: drogandosi e non avendo la forza di essere se stesso alla luce del sole. Alex Schwazer è un grande marciatore, ma anche un ragazzo che in questo caso lo sport non ha fatto crescere. È stato un campione solitario, lasciato a se stesso da gente che di lui apprezzava soprattutto i muscoli.
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