Le zone rosse del sesso e l’ipocrisia dilagante

di Paolo Graldi
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Sabato 24 Maggio 2014, 07:54 - Ultimo aggiornamento: 09:38
La sola parola, “prostituzione”, produce l’effetto di un cerino acceso su una tanica di benzina. E cos avvenuto allorch il sindaco Ignazio Marino ha azzardato la proposta di “zonizzare la prostituzione”. Detto meglio: quartieri a luci rosse e proibizione assoluta altrove. Polemiche fin che ne volete: quelle nuove e quelle mai archiviate. Ma si fa avanti anche il buon senso. Fatto sta che la prostituzione a cielo aperto, assai spesso tenuta al guinzaglio dalla criminalità organizzata e segnata dall’orrenda riduzione in schiavitù delle giovani donne costrette a vendersi, è uno scandalo che non può lasciarci indifferenti.



La città ne soffre, dice il sindaco, il decoro si sporca irrimediabilmente, e crea disagio in diversi quartieri. Quel genere di commercio non conosce crisi e, anzi, adesso la Ue chiede di conteggiarlo nel Pil insieme con il traffico della droga e la corruzione, dove siamo purtroppo tra i primi in classifica. Confinare in “zone rosse” ben delimitate offre il vantaggio di controlli mirati e sottrae le prostitute alla pratica dell’adescamento e al giogo della schiavitù. In diverse capitali d’Europa le “zone a luci rosse” si sono rivelate efficaci, nel senso laico del termine: si sa che là ci sono le prostitute e i clienti che vi si addentrano non possono nascondersi dietro il velo della morbosa curiosità. Il tema continuerà a scottare. Per intanto l’unica “zona rossa” che divampa è quella della vergogna e dell’ipocrisia.



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