Una rivoluzione al ribasso. Una mazzata in piena faccia all’utenza. Un’imposizione di sacrifici anche personali che produce frustrazione, rabbia impotente. Poi ci sono i casi limite: quintali di posta rovesciati in una discarica improvvisata. «Troppo lavoro, scusate, andava smaltito», lamenta l’addetto scoperto sul fatto.
Recuperare la posta non recapitata è qualcosa di difficilmente raccontabile: attese infinite davanti agli sportelli, cittadini che si organizzano nei condominii fissando turni per le file, migliaia di ore perse (pardon impiegate) per rientrare in possesso di un diritto strattonato, schiacciato, vilipeso. A Roma Capitale, immersa nel caos del traffico, delle grandi arterie chiuse e non riparate da mesi, degli scioperi e della guerriglia urbana che sconvolgono il centro storico mancava soltanto il supplizio della posta dispersa. Un tempo la civiltà di un Paese si misurava giudicando l’efficienza delle scuole, degli ospedali, delle carceri e la puntualità della posta. Bene, quel tempo non c’è più.
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