Monuments Men, il film sugli esperti che salvarono l'arte da Hitler convince a metà

Monuments Men, il film sugli esperti che salvarono l'arte da Hitler convince a metà
di Fabio ferzetti
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Giovedì 13 Febbraio 2014, 10:39 - Ultimo aggiornamento: 15 Febbraio, 20:09
Date a un attore-regista celebre per il fascino garbato e i modi soavi un soggetto ben poco soave, soprattutto oggi. Il risultato somiglierà a The Monuments Men. Un film che porta su ogni fotogramma i segni degli sforzi fatti per colorire, alleggerire, vivacizzare, rincuorare. Fino a perdere non in credibilità - dopo Tarantino siamo disposti a concedere ben altro, anche a chi maneggia materiali esplosivi come nazismo e Shoah - ma in coerenza. E in consistenza.

Peccato perché la storia vera di questi 365 professori, restauratori, direttori di museo, tutti rispettabili signori di mezz’età o poco meno, sguinzagliati da Roosevelt nell’Europa in fiamme del 1944 per salvare tesori d’arte dalla cupidigia nazista (e dagli errori alleati: nell’agosto ’43 L’ultima cena di Leonardo scampò d’un soffio alle bombe inglesi), meritava un vero sforzo d’invenzione. Invece Clooney e il suo fido sceneggiatore Grant Heslov si contentano di riunire sette campioni di simpatia (più una gran dama, Cate Blanchett). Inanellando episodi divertenti, malinconici, istruttivi, a volte tragici, con un occhio ai classici del genere “gruppo di simpatiche canaglie in guerra” (La grande fuga, Quella sporca dozzina, etc.). E l’altro al librone di Robert Edsel che ha ispirato il film. Ma senza mai trovare un tono, un collante affettivo, una spinta genuina che tenga insieme i personaggi, i loro sentimenti, e i diversi registri convocati per dar loro vita.

Il risultato è nobile e gradevole ma anche fatuo e molto old fashion. Specie oggi che la situazione mondiale impone sgradevoli confronti (quanti inestimabili tesori d’arte ha bruciato la guerra in Iraq? Chiedetelo a Rumsfeld). E i fantasmi del nazismo e dell’antisemitismo, meno remoti che negli anni 60, esigono un approccio meno bonario.

Sicché sullo schermo, a episodi felici (Matt Damon che riporta un quadro nella casa saccheggiata dei proprietari ebrei; Bill Murray e Bob Balaban che salvano la pelle strizzando l’occhio a Hollywood), si alternano personaggi a metà (il giovane ebreo tedesco che si unisce ai valorosi yankee); spunti che meritavano ben altro (Cate Blanchett, funzionaria del museo parigino Jeu de Paume, sulle prima non collabora temendo che gli americani vogliano inguattarsi la loro parte di capolavori); scene belliche di rara goffaggine.

E fervorini che tra un’inquadratura e l’altra dei capolavori trafugati, ci ricordano i valori universali dell’arte, il suo ruolo di memoria storica, il sensto profondo della missione. Belle parole, ma avremmo preferito un tono più deciso. E meno demagogia. Nel film ci si affanna a dire che nessun capolavoro vale una vita umana. Ma se San Lorenzo fosse stato più vicino ai musei Vaticani, per esempio, le bombe forse sarebbero cadute più in là.
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