Molfetta d’oro nel taekwondo

Nicola Molfetta
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Domenica 12 Agosto 2012, 09:17 - Ultimo aggiornamento: 09:33
dal nostro inviato Nino Cirillo

LONDRA - Prender a calci il mondo aveva promesso prima di partire. E lo ha fatto: s’ liberato a uno a uno, con pugni e calci in volo come vuole il taekwondo, di quei poveri marcantoni che a uno a uno gli si son parati davanti, alti anche venti centimetri più di lui, come montagne da scalare. Ed è arrivato lassù, in cima in cima, sul podio. Medaglia d’oro, la numero 199 della storia olimpica italiana.



Ha messo in fila quattro incontri sul filo del rasoio, a parte il primo forse. L’ha spuntata ogni volta per un soffio, ma con lucidità, con convinzione, lasciando ogni volta sbigottiti per quell’ultimo guizzo finale che riusciva puntualmente a produrre. Prima un tagiko, Alisher Gulov, sofferto all’inizio e quindi liquidato per 7-3. Poi tre giganti, uno più gigante dell’altro: il cinese Liu Xiabo, che s’è arreso con lui solo per 5-4; il maliano Dada Modibo Keita, che s’è dovuto rassegnare proprio in extremis, sul 6-5; il gabonese Anthony Obame, nella finale per l’oro, che invece non si è arreso affatto, che conduceva 9-3 ed è stato raggiunto, che non ha ceduto neppure nel sudden death point, nell’improvviso punto della morte, come lo chiama il regolamento.



E’ finita in parità e hanno dovuto decidere i giudici, tutti coreani, tutti con certe espressioni sul viso indecifrabili, sacerdoti di un cerimoniale che solo loro probabilmente conoscono. Hanno assegnato la vittoria «per superiorità» a Carlo Molfetta, 28 anni, carabiniere, brindisino di Mesagne. L’arbitro gli ha preso il braccio e gliel’ha alzato, come nella boxe. E lui ha rivolto gli occhi al cielo: missione compiuta, il mondo aveva ricevuto i suoi calci.



Perché Carlo è uno che le promesse le mantiene, uno che a 12 anni «già firmavo autografi e sognavo le Olimpiadi» e infatti è ai suoi terzi Giochi, e che non s’è fermato, nemmeno dopo la delusione di Atene («avevo vent’anni, volevo fare lo sbruffoncello»), nemmeno davanti a quattro operazioni al ginocchio in tre anni, tra il 2005 e il 2007. «Un cavallo imbizzarrito -sintetizza lui- che si deve per forza scatenare».



E si deve anche ingrassare, Carlo: pur di arrivare a Londra, chiuso nella sua categoria da Mauro Sarmiento, s’è messo lì e ha preso nove chili, mica uno. «Devo mangiare anche quando non ne ho voglia, a tutte le ore del giorno. Solo così ho raggiunto quota 89». Che non saranno solo grassi, ma anche un bel po’ di esplosiva muscolatura, come si e ben notato ieri pomeriggio, durante la sua rabbiosa, elettrizzante, sempre incerta cavalcata verso il traguardo.



Con il fiato sospeso, alla Fencing Arena che ha già visto i trionfi della nostra scherma, c’erano gli amici di Mesagne, senz’altro più numerosi e festanti di quelli arrivati venerdì per il bronzo di Sarmiento. Comunque solo una piccola parte degli amici che Carlo Molfetta ha in Puglia e sparsi per l’Italia, anche a giudicare dai 1.391 iscritti al suo fan club e dalla valanga di messaggi che in queste ore gli stanno arrivando da tutte le parti del mondo. Del tipo: «Siamo a Valencia, ma ti seguiamo. Fora Carlo». O anche di un altro tipo, come quello scritto da Daniele: «Ho 11 anni, da grande voglio essere come te».



A Mesagne lo aspettano, anche per togliere definitivamente di dosso alla città l’etichetta di culla della Sacra Corona Unita, un’etichetta odiosa e ingiallita perche ormai la Sacra Corona neanche esiste più, devastata, sconfitta dalle inchieste giudiziarie.



Lui ci torna veramente spesso. In marzo c’è stato per l’Avis, per i donatori di sangue di cui è testimonial. Due mesi dopo, il 23 giugno per il saluto prima di partire: lo accolsero in pompa magna sul sagrato della Chiesa Madre, suonarono per lui le «Risonanze folk». E opra deve tornare, per la grande festa che gli tocca.



Già, Mesagne, patria del taekwondo italiano, grazie al primo mentore di Carlo, il maestro Baglivo «che ci forgia soprattutto nel carattere, poi quando arriviamo in nazionale pensiamo a raffinare la tecnica». E’ di Mesagne anche Veronica Calabrese, artista marziale anche lei, quattro anni fa nella squadra di Pechino, oggi commentatrice in tv e soprattutto in attesa di diventare mamma di Sofia, compagna di vita e presto sposa di Sarmiento. S’era già sciolta in lacrime per il suo Mauro, Veronica, ma ieri per il compaesano Molfetta, sempre in diretta, non s’è certo risparmiata.

Hanno chiesto a Carlo: ma tra lei e Sarmiento chi è il più forte? Lui s’è messo a ridere: «Come faccio a dirlo? Siamo così diversi. A lui piace rallentare gli incontri, a me essere sempre all’attacco. Ci affrontiamo sempre e solo in allenamento, si vince e si perde senza problemi. Ma sul tatami è un’altra cosa». Come a dire: questo match non si farà mai.




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