Minuzzo (24Ore Business School): “Il welfare del sapere, saper fare e saper essere”

Minuzzo (24Ore Business School): “Il welfare del sapere, saper fare e saper essere”
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Mercoledì 16 Marzo 2022, 10:00 - Ultimo aggiornamento: 28 Marzo, 13:00

Di come sta cambiando la figura dell’HR all’interno delle organizzazioni e di come stia diventando sempre più centrale in una strategia di business sostenibile, ne parliamo con il Dott. Pier Maria Minuzzo, Consulente HR e CEO Progetto Formazione Scrl e docente di 24ORE Business School

Come si è evoluta la figura dell’HR, che ruolo assume oggi e quali differenze ci sono tra un HR interno all’azienda o esterno?

Credo ci troviamo in un momento in cui occorre ridefinire il nome di HR. Prima si parlava di gestione delle risorse umane ora sarebbe più corretto usare l’espressione People and Culture, che include l’attenzione, l’ascolto e la presa in carico di quelle che sono le diverse unicità e criticità che contraddistinguono il contesto lavorativo in cui operano i dipendenti all’interno di un’azienda. Il cambio di nome presuppone inevitabilmente un cambio di  atteggiamento che modifica di conseguenza anche i contenuti culturali della nostra azione. La figura dell’HR interno rispetto a quello esterno è sicuramente agevolata dalla prossimità alle questioni relative alla realtà nella quale opera e alla sua sostenibilità, non solo quella del personale ma anche quella economica finanziaria.

L’HR continuerà a lavorare in ufficio?

Nelle aziende si prediligerà il lavoro di squadra e quello individuale diventerà specifico delle attività consulenziali. Rispetto a ciò ha un valore fondamentale il coaching in seno al quale l’HR deve creare una nuova cultura della leadership basata non più sul livello gerarchico ma sullo scambio delle competenze. Direi che gli specialisti dovranno imparare a giocare in cortile e non più a guardare dalla finestra, in quanto assisteremo sempre più a un’inversione di paradigma in cui non si dovrà considerare solo l’azienda nella sua specificità ma questa dovrà essere inserita all’interno di un ecosistema più ampio e popolato da diverse figure, che condividono scelte congiunte destinate a un determinato contesto territoriale. La formazione e il mentoring sarà il collante necessario per favorire questa cultura d’impresa all’insegna dello scambio reciproco tra figure junior e senior.

Parliamo di comunicazione: quanto pesa in termini di produttività una buona comunicazione dei piani di welfare rivolta al personale?

La comunicazione è l’elemento che ci fa lavorare bene insieme facendo emergere la creatività delle persone e le soluzioni ai problemi.

Gestire la comunicazione in materia di welfare aziendale è necessario quindi ma al contempo molto difficile. Il piano non può essere solo aziendale ma deve coinvolgere anche le parti sociali, i sindacati, e tutti gli interlocutori che intervengono nella sua erogazione al fine di essere chiari sia nella risposta dei bisogni che nel vantaggio economico che ne deriva.

Quando la sostenibilità diventa sinonimo di tutela effettiva, cioè messa a contratto, per il dipendente?

La sostenibilità ha diverse sfaccettature, oltre a quella economica finanziaria di cui parlavo prima, ce n’è una che impatta direttamente sulla work life balance integration. Ciò che potrebbe essere messo a contratto sono gli impegni dell’azienda nei confronti del dipendente: primi fra tutti il rispetto della conciliazione vita lavoro e il sostegno a un’adeguata formazione.

Quali sono i passi ancora da fare in Italia verso un lavoro sostenibile?

Investire nelle persone non significa dimenticarsi delle imprese, entrambi devono essere soddisfatti in quanto legati da un rapporto mutuale per cui il benessere dei dipendenti favorisce quello dell’azienda e viceversa. Credo che ci sia da un lato un problema di tipo culturale che nasce dalla scuola rispetto alle lacune relative all’educazione economica finanziaria, e dall’altro uno di tipo sociale riguardante il livello imbarazzante di disparità di genere e l’assenza di politiche rivolte ai giovani. Lo stage alimenta il lavoro in nero creando degli ostacoli per l’attuazione di un lavoro che sia sostenibile e prerogativa di aziende virtuose. Le aziende devono per ciò sapere, saper fare e saper essere.

Tra welfare pubblico e welfare integrato, la sostenibilità su quali fondi potrà contare?

Bisogna arrivare a un livello minimo di garanzia e di qualità sia per il welfare pubblico che privato, immaginando delle soluzioni con gli operatori che siano su misura delle persone e all’insegna dell’integrazione, è questo il modello che stiamo costruendo e verso il quale stiamo andando.

Lucia Medri

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