La comunicazione in welfare aziendale deve essere, anche, formazione

La comunicazione in welfare aziendale deve essere, anche, formazione
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Lunedì 31 Gennaio 2022, 12:00 - Ultimo aggiornamento: 9 Febbraio, 15:00

Indagine Welfare e Comunicazione. Oggi la prima uscita della nuova rubrica dedicata alle modalità tramite cui il mondo del welfare aziendale comunica, e si comunica, ai propri utenti. La dichiarazione di Giovanni Scansani, docente a contratto all’Università Cattolica di Milano, dove coordina il Laboratorio di Progettazione di Piani di Welfare Aziendale

La ricetta per una buona comunicazione: le opportunità di welfare (pubblico e integrato) sembrano molto più numerose di quelle che sono note agli utenti, come è possibile colmare questo gap informativo e come si può far comprendere appieno i propri diritti?

La comunicazione in materia di Welfare Aziendale (WA) agisce a diversi livelli.
Anzitutto il tema ha ampliato la sua capacità di farsi oggetto di comunicazione perché il WA è sempre più diffuso ed è ormai considerato, a pieno titolo, una delle manifestazioni dei processi di trasformazione organizzativa delle imprese in grado di rafforzare il senso del lavoro e della partecipazione alla vita aziendale sulla premessa della sua capacità di generare reciprocità e quindi scambi che vadano oltre i limiti economicistici e produttivistici tradizionali, integrando il contratto di lavoro con elementi anche di carattere “sociale”.

Il WA ha, poi, guadagnato anche una dignità scientifica che è ben dimostrata dalla molta ricerca che nel corso degli ultimi dieci anni è stata svolta da parte di centri, non solo accademici, che sono diventati “luoghi” di comunicazione sulle dinamiche e sui contenuti delle politiche di welfare d’impresa. Sul piano informativo non va poi dimenticata anche la nascita di testate specializzate, reperibili soprattutto online, come la stessa WeWelfare, le quali hanno dato non poco aiuto alla diffusione della conoscenza della materia e delle migliori best practice cui le imprese e gli HR manager hanno potuto riferirsi per migliorare i propri interventi.

C’è poi da considerare il ruolo delle aziende che supportano l’efficacia dei loro interventi proprio ed anche attraverso una serie di iniziative di comunicazione che possiamo includere nel più ampio quadro delle strategie di marketing del WA, a loro volta associate alle strategie di people management che guidano le politiche di sostegno “sociale” messe in campo dalle imprese. Queste attività sono spesso ideate o co-progettate con i Provider che gestiscono le piattaforme con le quali i lavoratori hanno poi accesso ai servizi. C’è il rischio che, se il Provider non ha una vocazione particolarmente attenta alla natura “sociale” della sua azione, la comunicazione risenta degli interessi commerciali dell’outsourcer. Ecco perché quella della comunicazione è un’area delicata il cui presidio, tra l’altro, molte volte sfugge al soggetto che più di tutti dovrebbe monitorare con attenzione ciò che viene proposto ai lavoratori: il sindacato. Quest’ultimo è, infatti, molto attivo nella fase pre-contrattuale e contrattuale di definizione del piano di WA, ma poi diventa stranamente un po’ troppo passivo, per non dire assente, nella fase della sua implementazione, ivi inclusa appunto la definizione del piano di comunicazione delle misure.
Il tema della comunicazione è, invece, essenziale perché attiene ad un’esigenza imprescindibile: la conoscenza precisa dei contenuti del piano di WA e delle conseguenze di medio-lungo periodo che le scelte di allocazione dei budget individuali comportano per i lavoratori (sul piano fiscale, previdenziale e in generale per costruire scenari di reale sostegno).

La libertà che la gestione flessibile dei propri benefit comporta è realmente tale solo a fronte di una piena consapevolezza delle opportunità e delle conseguenze che sono associabili alle scelte che si fanno. Non per caso, nelle aziende più avvedute, il tema della formazione sul WA è entrato nell’agenda delle direzioni HR perché, oltretutto, quando il WA è un investimento aziendale (ed è quindi un on top sulla retribuzione) è interesse della stessa azienda far sì che generi il massimo della sua efficacia e quindi possa raggiungere i risultati attesi.

La comunicazione dev’essere, quindi, anche formazione e quest’ultima non è solo quella che si riferisce alla corretta utilizzazione della piattaforma. Questo approccio si limita a qualche giornata di formazione informatica piuttosto che dedicata all’impatto che le scelte individuali hanno rispetto alle tutele che il reale WA deve mettere in campo. Rarissimo, ad esempio, è l’avvio di percorsi formativi – anche attraverso iniziative di comunicazione – che si muovano nell’ottica della diffusione di informazioni riferibili all’offerta del welfare pubblico ed alla sua integrabilità con il Piano di WA (anche per non sprecare risorse aziendali impiegate per servizi che sono già disponibili per la cittadinanza).

La comunicazione del WA deve diventare una modalità di vera e propria formazione e a questo fine le imprese possono oggi contare su una figura professionale che si sta diffondendo: alludo al Welfare Manager, un professionista esterno, ma talvolta è un collaboratore posto in staff alla direzione HR dell’azienda che s’incarica non solo di sviluppare e formare la cultura del WA ad ogni livello, ma che è anche capace di accompagnare i beneficiari dei piani di WA lungo il loro personale welfare life cycle fornendo una guida sia rispetto ai servizi previsti dal piano stesso, sia rispetto all’offerta pubblica e ciò con l’obiettivo di identificare la risposta migliore rispetto ai bisogni per la cui corretta “lettura” ed interpretazione è sempre bene affidarsi ad esperti.

Che questa figura possa essere considerata un inserimento vincente nel team aziendale lo dimostra la crescente offerta di corsi specialistici nati proprio per rispondere allo sviluppo del mercato, anche del lavoro, che la diffusione del WA ha portato con sé (un suo ulteriore benefico effetto!). Si può citare, ad esempio, la Welfare Manager Factory che, tra l’altro, organizza corsi basati sulle linee-guida UNI che possono portare alla certificazione delle competenze e il fatto che, anche a livello universitario, esistano percorsi di studio per dotare gli studenti e i frequentatori dei Master delle più aggiornate competenze (iniziative di questo tipo fanno parte, ad esempio, dell’offerta didattica all’Università Cattolica di Milano).

Lucia Medri

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