Israele, parla un riservista: «Io, da Roma alla frontiera richiamato per la guerra»

Israele, parla un riservista: «Io, da Roma alla frontiera richiamato per la guerra»
di Federico Tagliacozzo
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Sabato 12 Luglio 2014, 08:57 - Ultimo aggiornamento: 09:01
Tra i quarantamila riservisti israeliani richiamati in questi giorni c' anche un soldato di origine italiana. Si chiama Shai, padre di Anversa e madre romana doc trasferitasi a Gerusalemme dopo il liceo. Ha 24 anni, è uno studente di Economia e psicologia all'Università di Tel Aviv, il servizio militare per lui è finito due anni e mezzo fa ma la cartolina di richiamo gli è appena arrivata. Molti suoi compagni di naja hanno ripreso le armi e sono entrati in servizio. Per lui, invece, ancora non sono arrivare istruzioni.



«Mi hanno richiamato, ma ancora non ho notizie precise su quando dovrò partire e su dove sarò mandato – spiega in un italiano fluente perfezionato nelle estati passate in vacanza a Fregene dalla nonna materna –. Mi sono dovuto sottoporre a un piccolo intervento chirurgico e sto recuperando. I miei compagni sono già partiti. Non so ancora bene quando dovrò seguirli».



C'è la possibilità che lei sia mandato a Gaza nel caso si decidesse di effettuare un intervento via terra?

«In genere le missioni importanti vengono compiute dai soldati di leva. I riservisti vengono spesso richiamati per sostituire i soldati di leva di pattuglia nei confini. Immagino che sarò mandato a guardia di una delle frontiere».



Nell'esercito che mansione ha?

«Sono carrista. In pratica guido i carri armati. Per tre anni è stato il mio lavoro di tutti i giorni. Confesso che dopo due anni e mezzo di vita civile potrei aver dimenticato qualcosa».



Parlando di Gaza, dalla Striscia centinaia di razzi sono stati sparati sul territorio israeliano. Missili sono stati intercettati mentre erano diretti verso Gerusalemme e Tel Aviv. L'aviazione israeliana nei suoi raid ha ucciso decine di palestinesi.

«Quando nelle nostre città risuonano le sirene che ci avvertono di un attacco, noi cerchiamo di ripararci in un rifugio appena possibile. Questo nella Striscia non succede. Purtroppo molte vittime sono state centrate perché erano usate come scudi umani sui tetti degli edifici utilizzati da Hamas. I dirigenti dell'organizzazione terroristica islamica nei loro media incitano la popolazione a salire sugli edifici per evitare che i nostri mezzi li colpiscano. Quello che affermo non è un segreto, è la loro strategia. Il nostro esercito prima di compiere un attacco avverte la popolazione civile di evacuare i siti che saranno colpiti. Non penso di essere poco obiettivo quando dico che il nostro è un esercito dal volto umano anche per questo motivo».



In Israele c’è chi teme che la situazione possa degenerare?

«Non c'è un unico Israele. Il Paese è costituito da zone, città, popolazioni con storie e sensibilità diverse. Chi è a Tel Aviv ad esempio vive con meno ansia la situazione, mentre chi abita a ridosso della Striscia corre rischi veri ogni giorno. Per non parlare degli ebrei che vivono in altre parti del mondo: mia nonna che vive a Roma e che ha tutta la sua famiglia in Israele è sicuramente più preoccupata di quanto lo sia io».