Israele sceglie un falco come presidente: vince Rivlin: «Sono di tutti gli israeliani»

Israele sceglie un falco come presidente: vince Rivlin: «Sono di tutti gli israeliani»
di Eric Salerno
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Mercoledì 11 Giugno 2014, 14:24 - Ultimo aggiornamento: 12 Giugno, 08:42
Con una kipp bianca in testa, Reuven Rivlin, appena eletto dalla knesset (il parlamento) decimo presidente d’Israele, ha pregato per la pace.

«Non appartengo più a un partito». «Sono di tutti gli israeliani: ebrei, arabi, drusi, religiosi e non religiosi». A guardare il suo passato come presidente del parlamento, è probabile che si impegnerà per il rispetto della democrazia interna del suo paese. Ma, a giudicare dalla sua posizione politica di sempre, ribadita con chiarezza nei giorni scorsi, gli interessa molto meno la pace con i palestinesi, se questo significa un loro Stato indipendente accanto a Israele. L’uomo che il 24 luglio prenderà il posto di Shimon Peres, l’ultimo dei padri della patria israeliana, è poco conosciuto al di fuori di casa dove gode di un seguito popolare, soprattutto a destra e tra i fan di Beitar Jerusalem, la squadra di calcio della città in cui è nato settantaquattro anni fa e che ha diretto per molti anni.



L’ELEZIONE PIÙ COMBATTUTA

Nel 2007, Rivlin fu battuto da Peres nella scalata alla presidenza. Ieri, nonostante una vecchia antipatia e rivalità con Netanyahu, premier e leader del suo stesso partito (il Lukud), è riuscito a vincere quella che è stata definita l’elezione più combattuta (e sporca) della storia d’Israele. Due candidati sono stati costretti a ritirarsi di fronte ad accuse (non provate) di corruzione e reati sessuali lanciate alla vigilia del voto. E, ieri, dopo un primo tentativo inconclusivo anche chi, come Netanyahu, non lo aveva voluto sostenere lo ha scelto preferendolo a Meir Shitrit, alfiere del centro dello stesso partito. In Israele la carica di presidente non è politica e lo ha ricordato lo stesso Rivlin. È a favore degli insediamenti nei territori palestinesi occupati ed è contrario al processo di pace ma già l’altro giorno, di fronte a una vittoria che lui considerava scontata ha detto: «Non interverrò nelle decisioni della Knesset. I deputati decideranno della pace e dei confini d’Israele. Non tocca ai presidenti determinare gli accordi fra Israele e i palestinesi, e il mondo arabo. Ma di creare un ponte fra le opinioni, facilitare il dialogo e la comprensione». Da Ramallah gli ha risposto, indirettamente, il ministro dell’economia palestinese Mohammed Shatayyeh: «Rivlin è stato eletto tra le file di una formazione politica di destra che rifiuta la pace e supporta l’occupazione della Palestina, ma staremo a vedere quello che farà prima di dare un giudizio definitivo». Una frase studiata a tavolino per chiedere lo stesso tipo di atteggiamento israeliano nei confronti del governo di unità nazionale messo insieme da Fatah e Hamas nel tentativo non soltanto di mettere fine alle divisioni nazionali ma anche di potersi presentare uniti se mai i negoziati dovessero riprendersi. È la linea caldeggiata anche da Stati Uniti, il maggiore alleato d’Israele, ed Unione europea e che ha fatto infuriare il premier israeliano.



L’USCENTE

Shimon Peres, il presidente uscente, ha dedicato la sua vita al paese partendo da posizioni di falco (era uno dei primi sostenitori delle colonie) per poi passare alle posizioni per le quali ha guadagnato il Nobel. Dopo gli accordi di Oslo e la morte di Itzhak Rabin (ucciso da un estremista israeliano), aveva fatto poco per far avanzare il processo di pace ma aveva esportato nel mondo l’immagine di un paese diviso al suo interno e con una forte componente interessata a mettere fine al conflitto con i palestinesi e gli altri arabi. Rivlin non ha avuto problemi a riconoscere che la fondazione d’Israele ha «provocato molto dolore» ai palestinesi e parla di «vera cooperazione fra arabi ed ebrei» ma le sue posizioni sono più vicine a quelle del primo ministro e dell’estrema destra, sempre più isolati nel mondo per il loro rifiuto di bloccare gli insediamenti e negoziare con la leadership palestinese. È una realtà che lo stesso Netanyahu ha riconosciuto nel suo discorso di saluto parlando di «compito gravoso» del neo eletto.
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