Baghdad, i jihadisti puntano alla "green zone": a rischio l'area simbolo della presenza Usa

Baghdad, i jihadisti puntano alla "green zone": a rischio l'area simbolo della presenza Usa
di Giulia Aubry
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Sabato 14 Giugno 2014, 13:44 - Ultimo aggiornamento: 18:18
Che la situazione in Iraq stia precipitando ormai evidente a tutti. Che l’Iraq sia una questione di politica internazionale con un alto valore simbolico per gli Stati Uniti lo altrettanto.

Ben quattro presidenti sono stati direttamente coinvolti, dagli anni novanta a oggi, nelle vicende del Paese: George Bush padre, Bill Clinton (seppure in misura molto minore rispetto agli altri), George W. Bush e Barack Obama, che pensava di aver portato a conclusione una storia durata oltre 20 anni.

Così quando ieri la stampa ha diffuso la notizia che secondo alcune indiscrezioni “The Green Zone is going down” – “La Zona Verde sta per cadere” -, in molti devono aver avuto paura.



Zona Verde è il nome comunemente dato alla Zona Internazionale di Baghdad, un’area di circa 10 chilometri quadrati posta al centro della capitale irachena, che ha ospitato la Coalition Provisional Authority - l’autorità provvisoria che ha “governato” l’Iraq negli anni della presenza armata statunitense - e oggi è sede delle principali ambasciate e uffici stranieri. Sebbene il nome ufficiale fosse International Zone, presto gli iracheni cominciarono, usando un termine tipicamente militare, a chiamarla Green Zone, come sinonimo di area sicura, per distinguerla dalla Zona Rossa, e ad alto rischio, che includeva tutti i quartieri esterni della città, per un’estensione complessiva di oltre 200 chilometri quadrati.



Di sicuro, però, la Zona Verde aveva ben poco visto che, soprattutto negli anni tra il 2006 e il 2008, è stata sottoposta a ripetuti bombardamenti e attacchi kamikaze con numerose vittime. Per dirla con i responsabili della sicurezza – per la maggior parte appartenenti all’esercito americano, ma non senza una forte presenza delle cosiddette compagnie militari private, come la Blackwater o la Dyn Corp – vivere o lavorare nella Zona Verde significava “essere sicuri (rispetto alla situazione esterna), ma non salvi”. In linea con questa definizione la Zona Verde è assurta a simbolo del paradosso della presenza americana in Iraq. Il luogo in cui era possibile vedere le impiegate dell’ambasciata statunitense andare a lavorare in tailleur e tacchi come a Washington, salvo poi doversi togliere le scarpe per correre al primo annuncio di “incoming” dagli altoparlanti, che annunciava un attacco in corso. Il luogo in cui i soldati americani – e quelli di tutte le altre forze internazionali – si facevano fotografare sotto le spade di Qadisiyya, l’arco di trionfo composto da sciabole incrociate che Saddam aveva fatto costruire per ricordare la “vittoria” sull’Iran.



Attorno all’ex Palazzo Presidenziale di Saddam Hussein - in cui, si racconta, il rais facesse sbranare i nemici dai propri cani lasciati digiuni per giorni interni, e che era diventato sede dell’Ambasciata americana e della Coalizione internazionale -, la vita di giorno era incentrata sull’organizzazione delle operazioni militari a livello centrale, le relazioni politiche con il Governo iracheno provvisorio, le attività generali di supporto alla presenza militare. Ma la sera era possibile partecipare a feste (anche a bordo della piscina che era stata frequentata dagli uomini di Saddam), a corsi di ballo latino-americano, andare al pub, in quella ricostruzione surreale di normalità che venne poi descritta da Rajiv Chandrasekaran, corrispondente da Baghdad per il Washintgon Post, nel suo Imperial Life in the Emerald City (La vita imperiale nella città di smeraldo), che servì come base per la realizzazione del film con Matt Damon, Green Zone.



La Zona Verde è passata sotto il pieno controllo delle Forze Irachene di sicurezza il 1 gennaio 2009, e il governo iracheno ha sostituito quello provvisorio andando a ri-occupare i vecchi luoghi del potere che furono prima di Saddam e, poi, degli Stati Uniti. In conseguenza di ciò la presenza statunitense è stata notevolmente ridotta, anche se la nuova sede dell’Ambasciata Americana, costruita lungo il fiume Tigri, è la più grande (e più costosa) tra quelle presenti in tutto il mondo con i suoi 440.000 metri quadri di estensione (quasi quanto la Città del Vaticano) e i sui 15.000 impiegati (in via di riduzione a causa dei tagli del Governo), a dimostrazione dell’interesse che ancora riveste l’Iraq per gli Stati Uniti.



Per tutte queste ragioni, la Zona Verde è identificata, anche dagli stessi iracheni che pure ne sono tornati in possesso, come un pezzo di Stati Uniti tra il Tigri e l’Eufrate o, quantomeno, la testimonianza di una presenza e di una storia recente. E un simbolo che cade fa sempre più rumore.
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