Tutti in coda per pagare Imu e Tares, ma non fateci impazzire

di Osvaldo De Paolini
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Giovedì 23 Gennaio 2014, 17:46
​Chiss se l’addetto al ritiro degli F24, che ieri mattina mi ha bruscamente ripreso per i due errori che ho commesso nel compilare il modulo che serve a pagare la mini-Imu, aveva in mente quel passo del Bisogna difendere la societ di Michel Foucault nel quale il filosofo francese rivisita la concezione hobbesiana dello Stato-Leviatano e parla di coltello alla gola del cittadino-suddito, tenuto stretto per perpetuare un potere illimitato che alla lunga trae forza da s. Io ci ho pensato, e come spesso capita da qualche tempo mi è montata dentro una gran rabbia, che prima o poi, ne sono certo, sfogherò contro qualche malcapitato burocrate che avrà avuto la sventura di apostrofarmi nel modo sbagliato. È mai possibile che oltre a dover subire una pressione fiscale a livelli surreali, a doversi districare tra moduli che dire complicati è dire poco, a dover perdere mezze giornate in lunghe file composte da facce depresse, uno deve anche faticare per rimediare alle voragini provocate dagli errori dei governi e dai giochi della politica, dovendo pure sorbirsi la lezioncina pubblica sulla casella con data errata o sulla firma non leggibile? La sola consolazione (magra in verità) è che non mi sono sentito solo in questa avventura, perché non ho dubbi che la mia sgradevole esperienza sia in questi giorni comune a molti contribuenti.



Peraltro, le due imposte che gran parte degli italiani dovranno pagare entro domani - la citata mini-Imu e la Tares - hanno un che di grottesco che merita sottolineare. E ricordare.

Si tratta infatti di due una tantum, le più leggere mai pretese da un governo, che però sono tra le più complicate da misurare: insomma, importi minimi e confusione massima. Non stupisce che negli ultimi giorni quotidiani e tv abbiano mandato in onda servizi che raccontano di caos agli sportelli, di proteste sempre meno garbate da parte dei contribuenti e di insofferenza crescente.

D’altro canto, riuscire a determinare con precisione l’imposta sulla prima casa (sì, proprio quella che nell’immaginario di molti era stata finalmente soppressa) è tutt’altro che facile, viste le non semplici somme algebriche che sono necessarie prima di giungere al totale da versare. Il paradosso è che in molti casi si tratta di poche decine di euro, e poiché per evitare errori sgradevoli da correggere successivamente non pochi chiedono l’assistenza dei Caf, capita che da questi consulenti venga richiesto un contributo più alto dell’imposta da versare.

Se poi passiamo al fronte della Tares la situazione appare ancora più confusa e complicata. Dietro i 30 centesimi al metro quadrato che finiranno nelle casse dello Stato abbondano infatti il caos, i rinvii, la gestione imprudente (per non dire di peggio) di migliaia di Comuni, ma soprattutto gli errori e i ritardi nell’invio dei bollettini che stanno mettendo a dura prova la pazienza dei cittadini.



Pensare che da quando è cominciato l’assurdo balletto sull’Imu, vale a dire dall’insediamento del governo di Enrico Letta, sono passati quasi otto mesi. Duecentoquaranta giorni durante i quali si è detto tutto e il contrario di tutto, durante i quali il concetto di equità della tassazione sulla prima casa si è allargato e ristretto con ritmo quasi settimanale e durante i quali il governo si è spaccato fino alla minaccia di dimissioni plurime. E tutto ciò per arrivare a cosa? A una tassa sulla casa che alla fine nemmeno riuscirà a cancellare gli effetti grandemente dannosi prodotti dall’ Imu introdotta con caparbietà degna di miglior causa dal governo Monti.



Poteva andare peggio? Difficile pensarlo. E’ pur vero che al peggio non c’è limite, e tuttavia quel che più affligge è che si va perdendo il doveroso rispetto verso coloro che le tasse le pagano fino all’ultimo centesimo. I quali vanno almeno messi nella condizione di farlo senza diventare pazzi o idrofobi.

Eppure il governo Letta aveva una grande occasione per correggere la distanza tra Stato e cittadini che proprio in queste circostanze fa sentire la sua ampiezza: visti i colpevoli e numerosi rinvii di cui proprio il governo si è macchiato in questi mesi, sarebbe bastato un decreto di poche righe per introdurre una proroga adeguata con nuove scadenze onde armonizzare la distribuzione dei bollettini con il flusso dei versamenti.