L'intervista a Sorrentino: «La mia pazza Italia fonte d'ispirazione»

L'intervista a Sorrentino: «La mia pazza Italia fonte d'ispirazione»
di Gloria Satta
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Martedì 14 Gennaio 2014, 08:46 - Ultimo aggiornamento: 16 Gennaio, 14:53

Dopo il tourbillon di emozioni della premiazione, Paolo Sorrentino ha dormito come un angelo. «Sono stati molto generosi con lo champagne», scherza il regista 43enne che, una volta ricevuto tra gli applausi il Golden Globe, è stato festeggiato a un paio degli after-party esclusivi che hanno acceso la notte di Hollywood.

Dica la verità, si aspettava il premio?

«Proprio no, gli americani sono bravissimi a mantenere il segreto. Negli ultimi giorni era calato un silenzio totale, una specie di coprifuoco che avevo interpretato come la mia sicura sconfitta».

Come hanno reagito le star accanto a lei?

«Ero seduto accanto a Bono, che si è mostrato molto felice della vittoria del nostro film, e ho avuto i complimenti di Scorsese».

Perché ha definito l’Italia “un paese pazzo” e bellissimo?

«E’ stata una battuta estemporanea, per scaramanzia non avevo preparato un discorso. Non conosco perfettamente l’inglese e con l’aggettivo crazy ho cercato di esprimere la sintesi estrema tra l’atipicità del Paese e quell’imprevedibilità che è la mia fonte d’ispirazione».

A cosa attribuisce il successo che il suo film sta riscuotendo negli Usa?

«Agli americani è piaciuta la libertà con cui ho utilizzato il mezzo cinematografico. Hanno anche apprezzato la grande cavalcata dentro Roma e una certa umanità che la popola. Ma non solo quello».

Cos’altro ha colpito spettatori e critici d’oltreoceano?

«Credo che la riuscita del film all’estero, e non soltanto in America, sia dovuta alla presenza di sentimenti che appartengono a tutti: lo spreco di tempo, la propensione a impantanarsi in attività inutili, la nostalgie per cose che solo nel nostro ricordo sembrano decisive... C’è una frase, in particolare, che ha commosso tutti».

Quale?

«Quella che pronuncia Servillo-Gambardella: a 65 anni non posso più perdere tempo a fare cose che non ho più voglia di fare».

La sua vittoria ai Globes gioverà al cinema italiano?

«Al cinema italiano servono buoni film, sia sul fronte della commedia sia di genere drammatico. E uno di questi è Il capitale umano di Virzì, che ho adorato: è ben girato, interpretato da ottimi attori, originale. In una parola, è competitivo a livello mondiale».

Come può continuare, il cinema italiano, a vincere nel mondo?

«Deve impegnarsi tanto, cercare idee originali e soprattutto abbandonare il pressappochismo, l’improvvisazione e prendere le cose sul serio: il nostro mestiere non si può fare a tempo perso».

Fino a quando rimarrà a Los Angeles?

«Fino al 17 gennaio. Il giorno prima voglio partecipare ai Critic Choice Awards, i premi della critica che vengono assegnati a Santa Monica. Li considero molto importanti».

E il 16 ci sono le nomination: pensa di arrivare in finale all’Oscar?

«Non penso niente. Faccio mio il motto “una partita alla volta” del ct del Napoli, Benitez. Come tutti gli allenatori di calcio, è un concentrato di saggezza filosofica...».

Si sente favorito?

«No, per carità. Non è una condizione che amo. E’ stato meglio, come si è visto, essere dato per perdente: ai Globes i bookmakers avevano previsto la vittoria di Kechiche o di Farhadi!».

Cosa le ha insegnato l’esperienza hollywoodiana?

«Ha rinsaldato la mia convinzione che il cinema è nato per raccontare i sogni e i desideri degli uomini. E anche se oggi questi sogni non sono più ingenui, elementari come cent’anni fa, il cinema ha ancora lo scopo di rappresentarli».

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