Il film rivive così in un'esposizione multimediale: mescola cioè sapientemente immagini, documenti e video per un viaggio virtuale nella genesi e nella storia di un'opera «assolutamente irripetibile», come sottolinea Caterina D'Amico, curatrice della mostra, responsabile dell'Archivio Visconti, preside della Scuola nazionale di cinema e figlia di Suso Cecchi D'Amico, sceneggiatrice del Gattopardo di Visconti.
LA SARTORIA
«La collaborazione e la dedizione di tutti coloro che lavorarono al film, dalle maestranze alla produzione, fu davvero irripetibile. Ogni oggetto, anche il più insignificante, fu soppesato e studiato. Ogni cosa, dalle stoffe dei 300 abiti da sera che affollano la famosa scena del ballo, ai dettagli delle uniformi militari, di ben cinque diverse divise, furono lavorati alla perfezione. Basti pensare che la sartoria si dedicò a Il Gattopardo in esclusiva per quattro mesi. Oggi sarebbe impensabile».
«Nella mostra le fotografie sono fondamentali – aggiunge ancora la D'Amico – ci sono quelle dei sopralluoghi, dei fuori scena, con Visconti che guida le prove, ci sono settanta immagini di grandi dimensioni realizzate dal fotografo ufficiale del film, Giovanni Battista Poletto». Per trovare i materiali da esporre, sono stati “saccheggiati” archivi storici importanti: quello della Titanus, produttrice del film, quello Visconti, quello della Fondazione Tirelli Trappetto. «Determinanti per ritrovare bozzetti, sceneggiature con annotazioni originali del regista, disegni, bolle di consegna». Come quelli delle stoffe, ad esempio, che raccontano di centinaia e centinaia di abiti realizzati artigianalmente. «Esponiamo quattro magnifici costumi di scena: uno è quello del ballo, indossato dalla Cardinale: fu realizzato 12 anni fa, identico, per la mostra di Ariccia. L'originale è troppo usurato dal tempo. Questo riesce a restituire lo splendore dei colori».
IL SIMBOLO
Ma ci sono anche altre foto, oltre quelle ufficiali. Sono quelle che scattò un fotografo che all'epoca aveva quarant'anni e lavorava per “L'ora” di Palermo. Si chiamava Nicola Scafidi e, senza essere retribuito, chiese a Visconti di poter fotografare quello che accadeva intorno al set. La Fondazione Federico II ha raccolto quelle foto e, in occasione della mostra, le ha pubblicate. «Ci siamo trasformati in editori – dice Francesco Forgione – non per una celebrazione del Gattopardo fine a se stessa, ma per stimolare una riflessione, tra memoria e attualità, sulla forza simbolico-culturale, oltre che fortemente comunicativa, di questo patrimonio».
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