Fontana, bronzo mountain bike

Marco Aurelio Fontana
di Claudio De Min
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Lunedì 13 Agosto 2012, 10:11 - Ultimo aggiornamento: 11:44

LONDRA - Secondo il primo teorema delle olimpiadi le medaglie, anche quando sono perfettamente identiche (stesso colore, stesso premio in euro in arrivo sul conto corrente , dal Coni – nel nostro caso - tramite bonifico) possono anche avere un sapore completamente diverso. C’è, ad esempio, un bronzo bello e felice come quello della pallavolo che, all’ora dell’aperitivo, provoca tuffi sul parquet, abbracci, mucchi selvaggi fra giocatori e tecnici, emozioni, orgoglio; e c’è il bronzo, all’ora del caffè, come quello di Marco Aurelio Fontana da Giussano, provincia di Milano, che il destinatario (specialità Mountain Bike) accoglie, all’arrivo, con un pianto dirotto.

Noi, invece, per prima cosa facciamo un monumento a questo coraggioso ragazzo di 27 anni che si definisce italo-calabrese, adora i «pisarei e fasioi» (piatto tipico della cucina piacentina, dove i pisarei sono degli gnocchetti di farina e pangrattato), i film di Tarantino, i Rolling Stones, Valentino Rossi, la Porsche Cayman, Canberra (in Australia) e il caffè Illy (al banco).

Per quello che ha fatto ieri e per come lo ha fatto, perché è stato bravo ad entrare nella fuga giusta (con il ceco Kukhavi e lo svizzero Schurter, due big) e poi a restarci, e perché è stato quasi eroico, nell’ultimo mezzo giro, quando il destino gli ha fatto lo sgambetto (una buca presa di brutto, la sella che va in pezzi, gli ultimi chilometri senza mai potersi sedere, praticamente un incubo) a difendere il terzo posto con la forza dei muscoli e della disperazione, fra rabbia, lacrime e acrobazie, dopo un’ora e mezza di corsa massacrante e bellissima, senza tregua né respiro, fra salite impervie e discese mozzafiato, in una bagarre costata subito la resa al campione olimpico in carica, il francese Julien Absalon.

Un monumento al talento e alla sfortuna (ma se l’incidente fosse successo in partenza sarebbe stato molto peggio, no?) anche da parte del ciclismo tutto, che pensava di prenderle nei primi giorni, le medaglie, con il gruppetto dei soliti famosi, invece si è salvato in extremis, quasi a sorpresa, solo qualche ora prima che calasse il sipario su Londra 2012.

Un monumento che trova fra i primissimi sponsor Gianni Petrucci, presidente del Coni che, grazie a questo podio conquistato all’ultimo respiro e probabilmente neppure conteggiato, non dico alla vigilia della partenza per Londra ma neppure fino a ieri, può godersi, a quota 28, un inatteso sorpasso rispetto alla quota medaglie di Pechino.

«La corsa, in fondo, è stata quella che mi aspettavo», dice Marco Aurelio, adesso che ha asciugato gli occhi, ritrovato la serenità e comincia a valutare la grandezza della sua impresa.

«Quello che non mi aspettavo era l’incidente, anche perché non mi era mai capitato prima in tutta la mia carriera una cosa del genere. Stavo lottando con Schurter e Kukhavi, eravamo ad un chilometro dal traguardo e io andavo prudente perché avevo il terrore di forare, quando ho preso una buca, una delle mille buche di una corsa. Ho sentito la sella muoversi e ho pensato che con il sedere l’avrei tenuta su. Invece avevo rotto anche il reggisella e in queste condizioni restare in equilibrio è difficilissimo, in salita più che in discesa. Ho avuto un attimo di panico, poi mi sono imposto di stare calmo. E, a mente più fredda, devo dire che sono stato proprio bravo e anche intelligente a difendere il terzo posto. E poi i due che erano con me sono fortissimi e non è detto che anche senza l’incidente sarebbe andata diversamente».

Bravo sì, e in più storico, perché nessun maschio italiano aveva mai conquistato il podio olimpico in questa specialità ed era dai tempi di Paola Pezzo (quindi dagli ori di Atlanta e Sydney, una vita fa) che il settore non portava a casa una medaglia. Del resto Marco Aurelio a Pechino fu quinto, quest’anno per tre volte terzo in Coppa del Mondo, alla vigilia il citì Pallhuber («In fondo avremmo firmato per il bronzo» dice adesso) ne aveva parlato benissimo e, dunque, un po’ dovevamo aspettarcelo. Se solo non fossimo uomini di poca fede. E un po’ distratti.

Marco Aurelio trova anche il tempo per levarsi qualche sassolino dalle scarpe. «Per quattro anni vi siete dimenticati di noi. Ora che abbiamo vinto l'unica medaglia del ciclismo, siete qui a chiedermi di tutto». D’altronde, chi lo conosce descrive l'atleta azzurro come una persona allegra ma diretta ed un pò schifa. Così sono gli amici che si impegnano a convincerlo di partecipare alla festa che il Coni tradizionalmente organizza a Casa Italia per gli italiani che hanno vinto una medaglia. «È fatto così, voleva festeggiare con la squadra e con gli amici».

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