Letta, dal Subbuteo all’Aspen: Enrico il trasversale

di Mario Ajello
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Giovedì 25 Aprile 2013, 10:31 - Ultimo aggiornamento: 10:33
ROMA - uomo di reti, di network, di think-net Enrico Letta. Di pensatoi culturalmente e politicamente trasversali a cui partecipa come l’Aspen Institute e il workshop Ambrosetti; o che ha fondato, come Vedr che funge da laboratorio generazionale dei quarantenni come lui e Alfano, Raffaele Fitto e Giulio Napolitano, Giulia Bongiorno e Flavio Tosi.



Oppure reti che ha ereditato, come l’Arel e questo centro di ricerche in cui fu chiamato da Beniamino Andreatta nell’89 «è stata la mia sliding door» insomma l’inizio di un destino ben coltivato da Letta in una logica, appunto, reticolare. Nella quale si intrecciano e si confondono, ma restano anche naturalmente separati, gli aspetti di svago - la rete degli amici che tifano Milan o quella di quelli con cui gioca a calcio o quella del Subbuteo, sua passione anni ’80 inscalfibile dal tempo, per non dire dei flipper che troneggiano nelle adunate estive di VeDrò in una ex centrale elettrica vicino a Rovereto - e gli ambiti politici e di studio a base di seminari, di gemellaggi come quello che via Arel unisce Enrico al gruppo bolognese e prodiano del Mulino, di meeting come quello di Rimini con cui Enrico cementa rapporto con cattolici dell’altra sponda (Maurizio Lupi) e ambienti religiosi ciellini ma anche economici come la Banca Intesa di Bazoli e c’era pure Corrado Passera.



L’INDUSTRIA

Reti significa contaminazione e possiede un’attitudine alla mescolanza il nostro eroe che con Pier Luigi Bersani si è ritrovato in un libro a quattro mani sui distretti industriali (ha detto a un convegno a Torino pochi mesi fa: «Il prossimo premier dovrà anzitutto occuparsi di industria manifatturiera, a cominciare da quelle delle automobili») e ha condiviso un altro volume sull’Europa con Lucio Caracciolo per Laterza. L’approccio reticolare, che è il cuore del lettismo versione Enrico, nasce come sorta di reazione, molto ragionata, a un handicap tipico di quella che è stata soprannominata (sulla scorta di un libro celebre così intitolato, opera di Douglas Coupland, del ’91) la generazione X a cui Letta appartiene e che sta in mezzo alla fascia anagrafica dei baby-boomers, quella dei nati dal ’45 in poi e passati attraverso il ’68, e quella degli attuali venti-trentenni ingiustamente definiti «bamboccioni» da Tommaso Padoa-Schioppa (che va annoverato, ma non per questa sua definizione, tra i punti di riferimento di Letta). Come vincere il destino di essere una generazione schiacciata? Puntando sull’interconnessione, mettendo in comune curiosità e sogni, facendo non lobby ma link: ecco la scommessa lettiana che spiega tutto il suo attivismo associativo. Enrico, per esempio, sta nel comitato di indirizzo della dalemiana Italianieuropei, così come - stessa area - ha partecipato a Red.



GLI APPUNTAMENTI

Per non dire della sua creatura, l’associazione 360, ossia che ragiona e vorrebbe far ragionare l’Italia a trecentosessanta gradi, luogo di «approfondimento politico» che punta a un «riformismo coerente». E lì, nella sede di via del Tritone, restano memorabili gli «aperitivi del merito» - c’è quasi sempre un mix di sobria convivialità da ex ragazzi e di sforzi di approfondimento serio nel lettismo reticolare - organizzati dalla deputata Alessia Mosca, area Enrico naturalmente ed ex ricercatrice dell’Arel - ossia momenti di discussione informale, e frizzantina, sul merito.



«IO VAGABONDO»

Sarebbe stato bellissimo vedere a quei drink uno come il Califfo, il compianto Franco Califano che rispetto al lettismo è agli antipodi, ma egli si è limitato (e non è poco) a dire «io voto per Letta» (!!!) e un endorsement per lui è arrivato anche dai Nomadi forse in onore della strepitosa (?) interpretazione di «Io vagabondo» che Enrico ha regalato ai suoi elettori dopo un comizio a Grosseto nel 2001.



LE PASSIONI

Quanto alla musica, a Vedrò ci si scatena con la dance, Letta adora i Dire Straits, per non dire della sua passione per Irene Grandi. Oltre che «Brucia la città» (ma Enrico è un moderato), un’altra canzone: «Prima di partire per un lungo viaggio».

E chissà se nella sua auto con i seggiolini per i bimbi, recandosi ieri al Quirinale per prendere l’incarico, Letta non stesse sentendo questa canzone propiziatoria. Quanto ai film, uno su tutti: «Blade Runner», perchè parlava con largo anticipo di mutazioni genetiche e di confini della vita. Mentre Dylan Dog sta nel pantheon di Enrico quasi quanto Andreatta: «Vorrei essere intelligente e corteggiato dalle donne come quel personaggio dei fumetti».



RIVALUTAZIONI

E’ stata l’esperienza degli anni ’80 e la riflessione di Letta sugli anni ’80 - «Bistrattati ma in realtà straordinari», perchè post-ideologici e vissuti da ragazzi «incapaci di coltivare la disillusione non avendo avuto l’illusione» - a spingere Enrico a fare gruppo, anzi a fare gruppi, tanti e collegati tra di loro, in modo da sfatare la maledizione dello sparpagliamento che è quello che indebolisce una generazione vogliosa di proporre, tutta insieme nelle diversità, un’idea di Italia e di futuro.

Letta non ha il chiodo e il look da Fonzie, come Renzi ad Amici, ma Matteo è più piccolo di lui, e tuttavia - pur non sfoggiando nuovismi estetici - rappresenta il primo ragazzo degli anni ’Ottanta che va a Palazzo Chigi da numero uno. Portandosi nella borsa (o nello zainetto) di lavoro una cultura fusion da tecnico, politico e post-ragazzo, un’ideologia non ideologica chiamata linkismo e qualche bella canzone degli U2 e perfino dei Cool and the gang.