Engineering. Con lo smart working per le imprese digitali

Engineering. Con lo smart working per le imprese digitali
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Mercoledì 25 Marzo 2020, 17:00 - Ultimo aggiornamento: 6 Aprile, 13:00

Con il metodo Engineering verso un cambio di paradigma nell’organizzazione del lavoro. Lo smart working non sarà solo una parentesi d’emergenza

Engineering gestisce da remoto 250mila postazioni di lavoro per conto di circa 400 clienti, soprattutto italiani. Se in queste settimane lo Smart Working ha semplificato e permesso la sopravvivenza delle aziende, va detto che attuarlo in modo da consentire alle persone di essere realmente produttive ed efficienti è tutt’altro che semplice. “Un Digital Workplace in grado di innovare davvero il modo di lavorare ha bisogno di una strategia, di un approccio capace di far procedere di pari passo avanzamento tecnologico e formazione delle persone, aumento della produttività del singolo e crescita della produttività collettiva. Solo in questo modo è possibile abilitare una vera e nuova cultura aziendale, condivisa dal Top Management e da tutte le persone che operano nell’organizzazione” spiega Francesco Bonfiglio, Amministratore Delegato di Engineering D.HUB.

Smart working non è solo lavoro da remoto, è utilizzo di tecnologia, di processi nuovi che riducono la mobilità delle persone e che fanno crescere la produttività. Sostenibilità ambientale, worklife balance per i lavoratori, efficienza nell’attività produttiva: tutto grazie all’uso della tecnologia.

“Come ogni elemento della trasformazione digitale l’unica certezza è che il cambiamento, una volta iniziato, sarà continuo – continua Bonfiglio – Non deve spaventare, ma anzi deve essere un mantra per tutti, manager e collaboratori. L’evoluzione del business, ma ancor di più il cambio culturale e organizzativo che la corretta adozione del Digital Workplace impone non potranno fermarsi e diventeranno un motore di innovazione e miglioramento della produttività dell’azienda, di tutta la filiera produttiva, della catena del valore e delle persone”.

L’emergenza ha fatto cambiare l’atteggiamento di molte aziende, che hanno sempre preferito l’assistenza onsite, rispetto a quella da remoto. Il racconto di Bonfiglio è chiaro: “Nelle ultime due settimane abbiamo supportato le richieste di decine di clienti ogni settimana con la necessità di rafforzare le loro infrastrutture di rete e VPN e di installare client VPN sui PC dei loro dipendenti. Sempre come conseguenza del Covid-19 abbiamo ricevuto da moltissimi clienti la richiesta di massimizzare gli interventi da remoto e ridurre la presenza onsite di esterni. Abbiamo potuto supportare questo fenomeno grazie alla bimodalità della nostra natura di servizi, da una parte sappiamo erogare servizi in maniera tradizionale, in presenza e in prossimità dei clienti ma dall’altra siamo dotati di moderni strumenti per la gestione da remoto dei desktop, per la configurazione e distribuzione automatica del software installato e dunque possiamo operare completamente in assenza di contatto fisico. La combinazione di queste diverse modalità ci rende particolarmente capaci di gestire la criticità del momento e – di fatto – nessuno dei nostri servizi ha subito interruzioni di nessun tipo fino ad ora”.

E aggiunge: “500 tecnici di supporto di cui normalmente il 60% onsite stanno ora lavorando prevalentemente da remoto e continuando onsite quando richiesto e necessario per dare continuità al business. Interessante il caso di alcuni ospedali che ci chiedono una prossimità remota, ovvero una assistenza da remoto ma all’interno della sede cosi da massimizzare la capacità di intervento diretto se e quando necessario. Anche questo elemento è distintivo della capacità di Engineering che grazie alla sua prossimità e flessibilità sa come gestire una emergenza che difficilmente potrebbe essere gestita da forze lavoro remote situate in India o offshore”.

Da questa emergenza si affermeranno modalità nuove di lavoro e di organizzazione aziendale. Quasi uno choc benefico per la decisione di fare un decisivo salto nella trasformazione digitale. Il gap tecnologico e digitale è una caratteristica italiana, e di alcuni Paesi del Sud Europa rispetto alle consolidate abitudini del Nord Europa e dei Paesi anglosassoni. “C’è una resistenza alla presunta perdita di controllo – aggiunge Bonfiglio – collegata spesso all’esperienza del contatto visivo; la prevalenza di sistemi di controllo gerarchici non sono avvezzi alla gestione di gruppi di individui che lavorano per obiettivi e sono distribuiti per collocazione e per lingua. Ma solo gestendo risorse remote si possono valorizzare i talenti. Il controllo deve accompagnarsi alla competenza e alla fiducia. D’altronde senza la digitalizzazione non è possibile competere. Il tessuto imprenditoriale italiano, composto per lo più da piccole e medie imprese che non hanno avuto supporti per competere, ha un gap da colmare ma può compensarlo con la propria agilità. La maturità è diversa nelle grandi aziende, anche in Italia, che hanno saputo correggere i ritardi. La PA sul fronte della digitalizzazione è meglio di quanto si pensi. Dall’Agid, ai Poli strategici nazionali al Cloud fino ai progetti di e-learning nelle scuole, qualcosa si muove”.

Se il problema è culturale e organizzativo nelle imprese, potrebbe essere decisivo il ruolo delle grandi società di consulenza, che sono abituate ad analizzare i processi e a ridisegnarli e a ridisegnare le organizzazioni. “Collaboriamo con molte di loro, offrendo soluzioni e competenze tecnologiche. Al percorso “top-down” tipico dell’ approccio tradizionale alla rivisitazione dei processi, le tecnologie digitali consentono ora di elaborare una via “bottom up”, ovvero di automatizzare processi esistenti riducendo rapidamente la complessità e inducendo al contempo un processo di cambiamento quasi autoctono ”. Esempi di questo sono gli strumenti di videoconferenza e messaggistica, piuttosto che la la Robotic Process Automation”.

Marco Barbieri

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