L'innocenza di Dolce e Gabbana e la rottamazione del pregiudizio anti imprese

di Andrea Bassi
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Martedì 25 Marzo 2014, 14:37 - Ultimo aggiornamento: 15:04
Le parole, diceva Nanni Moretti in uno dei suoi film, sono importanti. Quelle usate dal procuratore generale della Corte di Appello di Milano, Gaetano Santamaria, lo sono sicuramente più che mai. Perché possono essere il segno di una svolta nei rapporti tra lo Stato e l'impresa, una rivoluzione che può da sola valere come una delle riforme promesse da Matteo Renzi.



Gli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana, ha spiegato Santamaria, che al processo di appello è la pubblica accusa, "non sono evasori fiscali". Di più. "Hanno pagato le tasse". Anzi, "l'invasione della Gdf è stata un colpo alla credibilità del marchio". E poi, "la società Lussemburghese era lecita". Ed ancora, in Italia c'è "libertà di impresa".



Dolce e Gabbana, dice la pubblica accusa, che poi sarebbe lo Stato, vanno "assolti". Quello che va condannato allora è quello spirito "anti-impresa" di cui hanno parlato persone come Sergio Marchionne e Giorgio Squinzi e del quale, va detto con onestà, a volte sembra essere impregnata la macchina burocratica, anche quella fiscale, che Renzi vuol rivoltare come un calzino.