La fidanzata di Ciro Esposito: dovevamo sposarci presto

La fidanzata di Ciro Esposito: dovevamo sposarci presto
di Daniela De Crescenzo
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Mercoledì 25 Giugno 2014, 08:53 - Ultimo aggiornamento: 08:58
Io e Ciro dovevamo sposarci presto, lui lavorava gi, io speravo di trovare un posto fisso da commessa dopo aver lavorato da precaria in una catena di negozi di abbigliamento. La vita che sognavamo era semplice: una famiglia, dei figli, qualche viaggio. Perché lui, Ciro, era un ragazzo che amava viaggiare.







Insieme l’estate scorsa eravamo stati a Palma di Maiorca, aveva organizzato tutto in internet. Lo faceva spesso: Parigi, Amsterdam, l’Italia intera. Insieme l’abbiamo girata tutta, dal Nord al Sud»: Simona spiega il suo Ciro mentre lui ha smesso di lottare e a qualche metro di distanza, nella sala di rianimazione del policlinico Gemelli, lentamente si spegne, come ha detto già nel primo pomeriggio la mamma Antonella staccandosi per un momento dal figlio per venire ad abbracciare il marito e l’altro suo ragazzo, Michele.



La vita che racconta Simona è quella di due ragazzi come tanti. I sogni, le speranze che il killer ha spezzato il 2 maggio sono quelli di chi, giorno dopo giorno, faticosamente, cerca di costruirsi un futuro e ha il coraggio di non fari ingoiare dallo squallore delle periferie. La Scampia dove ha vissuto Ciro Esposito, 28 anni, e che Simona racconta, è infinitamente lontana, e allo stesso tempo incredibilmente uguale a quella dei film. Perché la vita, la vita vera, è complicata e ha mille riflessi. E allora, anche se ci sono le Vele, puoi vivere in una casa dignitosa. Anche se intorno a te spacciano, non devi necessariamente spacciare. Anche se c’è chi ammazza hai il diritto a non essere scambiato per un assassino. Lo hanno ribadito nei loro 52 giorni di calvario Antonella e Giovanni, i genitori di Ciro.



«Abbiamo lottato tanto per aprire un autolavaggio e dare un futuro ai nostri figli», ha ricordato Antonella. Perché non amava la scuola Ciro, ma era un ragazzo onesto. Un ragazzo onesto di Scampia: se ne facciano una ragione gli spacciatori di luoghi comuni. Come viveva lo racconta con la semplicità della quotidianità a fidanzata di Ciro: «Abbiamo tanti amici perché lui è un ragazzo allegro, socievole. Tanti sono qua, aspettano notizie con noi. Insieme facciamo tante cose: andiamo al pub in centro, ma anche al Vomero. Ma ci piace anche restare in casa e cucinare qualcosa: Ciro è un buongustaio, gli piacciono anche i dolci. E io ho imparato a cucinare per dividere un’altra cosa con lui».



I colpi di De Santis, l’uomo che secondo i magistrati ha sparato, non hanno ancora ucciso i sogni di Simona. E parlando di Ciro le spunta un sorriso tra le lacrime mentre con la folla di parenti aspetta notizie dalla rianimazione dove Antonella continua ad abbracciare e baciare il ragazzo. «È Pentecoste – racconta padre Mariano Palumbo, arrivato a portare conforto alla famiglia – e la mamma di Ciro ha voluto intonare le laudi». La famiglia Esposito è religiosa e fino all’ultimo momento continua a sperare nel miracolo.



Ci spera Gianni, il papà del tifoso del Napoli, che accasciato su un muretto del Policlinico continua a pregare. «Il cuore batte, Ciro è vivo», ripetono come un mantra i familiari e, quando i media diffondono la notizia che il ragazzo sarebbe morto, si ribellano e lo zio Enzo chiama a raccolta i reporter per ribadire: «Ciro sta male, è peggiorato, ma è vivo. Noi continuiamo a sperare». Poi nel pomeriggio ad un certo punto papà Giovanni ha un malore, la pressione è diventata troppo alta e nonostante sia in un ospedale risulta difficile procurare le gocce necessarie a curarlo. Ma lui non si muove, non abbandona il posto di guardia che si è assegnato. E non accetta, nonostante i drammatici bollettini dei medici, che il figlio debba morire.



E per che cosa poi? «Per nulla, assolutamente per nulla», come ribadisce Enzo Esposito, lo zio che in tutti questi infiniti 52 giorni ha continuato a difendere il nome del nipote e del’intera famiglia e che adesso, mentre davanti alla sala rianimazione aspetta notizie di Ciro, lancia un appello: «No ad altre violenze, il nostro dolore basta in questo momento». No alla violenza, dice Enzo, ma sì alla giustizia: «Chi ha sbagliato deve pagare – dice – e il Questore e il Prefetto di Napoli dovrebbero pagare. Mio nipote è in queste condizioni anche perché i soccorsi sono arrivati in ritardo. E non solo: le forze dell’ordine erano poche, quel giorno erano impegnate altrove. Mancanze gravi, ma i responsabili sono ancora al loro posto. E questo non va bene, non è giusto».



E Giovanni, il papà di Ciro rifiuta di incontrare il sindaco di Roma, Ignazio Marino e al medico che gli comunicava l’intenzione del primo cittadino di venire spiega: «È una persona indegna in 50 giorni non si è mai fatto vedere, adesso non lo vogliamo. È del mio partito ma è indegno». Ma non c’è rabbia nelle sue parole, solo indignazione.



Indignazione per quella solitudine che la famiglia Esposito ha subito come un affronto: «In tanti giorni sono venute tante persone comuni, ci è stato vicino il presidente del Napoli, De Laurentis, ma abbiamo visto solo un politico, il senatore Enzo Cuomo che ha anche presentato un’interrogazione sulla vicenda di Ciro», conclude Enzo Esposito, ex sindacalista che non si arrende. Non è facile vivere se si nasce a Scampia. E anche per morire bisogna chiedere il permesso di farlo da persona onesta.
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