AON: il 60% dei datori sceglie il remote working internazionale

AON: il 60% dei datori sceglie il remote working internazionale
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Giovedì 21 Luglio 2022, 13:00 - Ultimo aggiornamento: 2 Agosto, 11:00

Perl’International Mobility Survey 2022, Aon ha intervistato più di 200 datori di lavoro appartenenti a diversi settori, per studiare quali siano le aspettative sulla mobilità internazionale e i viaggi lavorativi per il prossimo anno

Dal report International Mobility Survey 2022 di Aon, primo Gruppo in Italia e nel mondo nella consulenza dei rischi e delle risorse umane, nell’intermediazione assicurativa e riassicurativa è emerso che le aziende sono sempre più alla ricerca di persone da assumere a livello locale, e non
ci sono aspettative di crescita per le offerte di lavoro internazionali. Il lavoro da remoto, d’altra parte, può offrire una soluzione quando c’è difficoltà a reperire i talent. Aon ha intervistato più di 200 datori di lavoro appartenenti a diversi settori, per capire come i recenti avvenimenti li influenzino e  quali siano le loro aspettative sulla mobilità internazionale e i viaggi lavorativi per il prossimo anno.

I risultati sono stati confrontati con quelli del sondaggio 2021 per identificare i trend:

Dopo un lungo periodo senza viaggiare, i business travel in Europa sono ripartiti nella seconda metà del 2021. Le organizzazioni stanno però rivalutando l’esigenza dei viaggi d’affari internazionali. Le difficoltà più rilevanti che sono emerse riguardano la sicurezza (75%) e il benessere (60%) dei loro dipendenti. Sorprendentemente, le emissioni di CO2 occupano l’ultimo posto nella classifica delle sfide più importanti per le aziende e le organizzazioni. In tema di sicurezza dei dipendenti, le aziende oltre a prevedere i rischi medico-sanitari, dovrebbero tenere conto anche di quelli correlati alle condizioni metereologiche estreme, terrorismo, disordini sociali e politici, il contesto macroeconomico e le violazioni dei sistemi di cybersicurezza. Ne consegue che dovrebbero riesaminare i propri programmi di gestione dei rischi di viaggio per garantire da un lato, la tutela della salute e della sicurezza dei dipendenti e dall’altro, l’ottemperanza alle linee guida del nuovo standard ISO 31030 europeo del 2021.

Nel 2021, in particolare, gli impiegati nelle vendite (66%) e management (65%) hanno iniziato nuovamente a viaggiare per motivi di lavoro. I rapporti e la fiducia sono infatti fattori importanti in questi casi, e la possibilità di incontrarsi di persona rappresenta indubbiamente un vantaggio. Non ci sono invece aspettative di crescita dei viaggi lavorativi per motivi di training e di formazione almeno fino al 2022. Ci sono due categorie, il personale tecnico e quello che si occupa di manutenzione, che invece non hanno mai interrotto i viaggi di business durante la pandemia e per le quali è atteso un incremento degli spostamenti per ragioni lavorative. Inoltre, grazie alla diffusione della realtà virtuale, questi professionisti hanno potuto e potranno coniugare le operazioni di assistenza in loco con quelle da remoto.

Il ROI (Return On Investment) di un viaggio d’affari è l’elemento che ha la priorità. Il valore effettivo di uno specifico viaggio d’affari, i suoi benefici misurabili, e la capacità di dimostrarli agli stakeholder interni sono il criterio principale per valutare la necessità di un viaggio. La domanda che viene posta per la maggiore è infatti se sia davvero necessario viaggiare o se sia sufficiente fare un incontro online. Un viaggio richiede ancora più impegno in presenza di un obbligo di assistenza e di preparazione, in linea con le legislazioni e i regolamenti dei Paesi in cui ci si reca, oltre alla garanzia della sicurezza dei lavoratori e del loro benessere. Inoltre, i datori di lavoro non considerano più l’aereo come il principale mezzo di trasporto per i business travel. Ciò implica che ai dipendenti venga richiesto di spostarsi utilizzando treni o macchine per i viaggi considerati brevi, ovvero quelli al di sotto di 400-700 km.

Le offerte di lavoro internazionali continuano a diminuire: il focus è sul recruitment a livello locale e sul lavoro da remoto. Durante la pandemia, il 32,5% dei datori di lavoro ha ridotto il numero di offerte di lavoro internazionali. Gli incarichi all’estero comportano diverse problematiche, in primis quella di tutelare la sicurezza dei dipendenti (49,7%), seguita dalla capacità di collaborare e guidare un impiegato che lavora in un certo ruolo (36,2%), di attenersi alle leggi e ai regolamenti (31,9%), oltre alla tutela della salute dei dipendenti, il contenimento dei costi, l’accesso all’assistenza sanitaria e ad una copertura assicurativa.

Prendendo in considerazione tali questioni, è probabile che i datori di lavoro cambino le loro policy di placement internazionale.

Aon sta assistendo a un crescente cambiamento nel focus dei datori di lavoro, che si concentrano sempre di più sull’assunzione di impiegati a livello locale. Il Covid-19 ha già lasciato un segno sui candidati, è previsto dunque che lo scoppio di pandemie e guerre riduca la motivazione dei lavoratori nel proporsi per una carriera internazionale. Nonostante l’aumento di collocazioni internazionali nell’ultimo anno, per il momento non si tornerà ai livelli pre-pandemia.

Molte persone stanno scegliendo di fare remote working per lavorare da qualsiasi luogo o stare più vicini alla propria famiglia. In alcuni settori, c’è un’effettiva mancanza di talenti, e le poche persone che possiedono i requisiti richiesti risiedono all’estero, e non possono o non hanno intenzione di sportarsi. Il lavoro da remoto può allora essere una soluzione per la selezione e l’assunzione dei talenti necessari. Quasi il 60% dei datori di lavoro ha dichiarato che il lavoro da remoto internazionale è un’opzione all’interno delle proprie organizzazioni. Quando c’è questa possibilità, nel 56,7% dei casi è possibile anche per le famiglie degli impiegati spostarsi insieme a loro nel luogo in cui desiderano lavorare. Quando si tratta di lavorare da remoto a livello internazionale, i datori di lavoro riconoscono che ci possano essere degli ostacoli. Tra questi, la compliance (54,6%), la previdenza sociale (51,5%), e le tasse (49,5%). Ma il 40% delle società che adottano il lavoro da remoto internazionale non hanno policy o linee guida riguardanti queste tematiche. L’incapacità di gestire queste problematiche può avere delle gravi ripercussioni. I datori di lavoro sono anche in difficoltà nel mantenere la propria cultura aziendale, la mission dell’organizzazione e il coinvolgimento dei dipendenti.

Michel Teunisse dell’International People Mobility (IPM) di Aon ritiene che la pandemia da Covid-19 abbia cambiato in modo permanente i viaggi d’affari internazionali. “Guardando al business travel, è chiaramente visibile una sua vera e propria rivalutazione. I datori di lavoro si interrogano sulla necessità di viaggiare. Fattori come costi, benessere dei dipendenti e anche il clima, saranno determinanti nel decidere se un viaggio sia davvero necessario. Non intendo dire che i viaggi d’affari spariranno ed è chiaro che rappresentano un valore aggiunto per alcuni settori. Il mondo dopo il Covid-19 non è però più lo stesso di prima. Questo è evidente anche dalla continua crescita del trend del lavoro da remoto a livello internazionale. I dipendenti hanno riscontrato i benefici che il remote working può portare e vogliono continuare ad adottarlo, anche per raggiungere un miglior equilibrio vita-lavoro”. “Tuttavia, la creazione di policy che riguardano il lavoro da remoto è una questione urgente, per stabilire ciò che funziona o meno. Per quanto possa sembrare facile per un dipendente prendere il computer portatile e partire per lavorare dall’estero, è molto più complesso per un datore di lavoro. Che effetto avrebbe lavorare in un altro Paese sulle tasse, sulla previdenza sociale, sulle legislazioni e i regolamenti e sulla copertura assicurativa? Come fa una persona a rimanere connessa alla propria società quando sta lavorando a un diverso fuso orario e non è mai presente fisicamente in ufficio? I datori di lavoro stanno incontrando questi ostacoli e devono assolutamente lavorare alla loro risoluzione. Devono formulare delle policy da condividere poi con i propri dipendenti”

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