Gli indizi Per arrivare al 53enne Zaharie Shah come l'indiziato principe sono stati determinanti i simulatori di volo ritrovati a casa sua con i quali il comandante si esercitava a volare lontano dalle rotte abituali verso l'Oceano Indiano, proprio dove il volo Kuala Lumpur-Pechino - e questa è l'unica certezza - si è inabissato lo scorso 8 marzo. Non solo, i simulatori di volo hanno rivelato anche che il pilota si allenava ad atterrare su isole e piste di fortuna. Su questi strumenti, che i piloti utilizzano abitualmente quando non sono in volo, si era subito concentrata l'attenzione degli investigatori che, a una settimana dalla scomparsa dell'aereo, avevano pensato a un'azione «deliberata di qualcuno».
Nessuna pista esclusa Ma dai simulatori erano stati cancellati dei dati e ci sono voluti ben tre mesi per recuperarli. Le indagini sono andate a scandagliare a fondo anche la vita del pilota che, con 18.000 ore di volo alle spalle, era considerato molto esperto. Dai 170 interrogatori svolti, è emerso che il comandante, padre di tre figli, aveva problemi in famiglia e non faceva «più piani per il futuro», né professionali né privati. Parenti e amici continuano a negare e a ribadire che era «una brava persona, la verità verrà fuori». La polizia, in un comunicato ufficiale, assicura che le indagini vanno avanti e che nessuna pista è esclusa, dal guasto tecnico all'attentato terroristico.
La rabbia dei parenti Tuttavia, il mistero del come e del perché il Boeing 777 della Malaysia Airlines sia sparito nel nulla rimane. Come rimangono la rabbia e il dolore dei parenti dei passeggeri, soprattutto cinesi, che presto potrebbero vedersi recapitare dal governo malese i certificati di morte dei loro cari senza avere idea di quale sia stata la loro fine.
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