Uccise e fece a pezzi un pastore: Michele Cialei condannato a 30 anni di carcere

Uccise e fece a pezzi un pastore: Michele Cialei condannato a 30 anni di carcere
di Marina Mingarelli
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Giovedì 25 Luglio 2019, 14:53 - Ultimo aggiornamento: 14:55
Allevatore ucciso fatto a pezzi e gettato in un dirupo: trenta anni di carcere all'assassino.
E' questa la sentenza di condanna emessa dal Gup Ida Logoluso nei confronti di Michele Cialei, il pastore di 54 anni residente a Vallecorsa accusato di aver ammazzato Armando Capirchio l'allevatore di 59 anni scomparso dalla sua abitazione il 24 ottobre del 2017. L'imputato è stato giudicato con rito abbreviato.
L'avvocato Camillo Irace, che difendeva il pastore, ha puntato ad evitare l'ergastolo, pena richiesta dal pubblico ministero Vittorio Misiti. Il legale ha già preannunciato che avverso la sentenza presenterà ricorso in corte d'Appello. In questa sede chiederà una ulteriore riduzione di pena per far cadere anche la residua aggravante della crudeltà e dei motivi abbietti e futili.

L'imputato, era accusato di omicidio, sezionamento ed occultamento di cadavere.
Colpo di scena invece per il figlio Terenzio di venti anni, che doveva rispondere di vilipendio ed occultamento di cadavere. Il ragazzo difeso dall'avvocato Giampiero Vellucci è stato condannato ad una pena mite, due anni e sei mesi di reclusione (pena sospesa).
Non avendo però compiuto il ventunesimo anno di età il giovane non sconterà nemmeno un giorno di carcere.
Tornando a Michele Cialei va detto che l'uomo, reo confesso, venne arrestato cinque mesi dopo la scomparsa dell'allevatore e precisamente nel marzo del 2018 quando il cadavere di Capirchio venne ritrovato a pezzi e chiuso in due grosse buste di plastica in un dirupo in località Ambrifi in territorio di Lenola.
Subito dopo l'arresto l'uomo, nel corso degli interrogatori, si era sempre avvalso della facoltà di non rispondere. Per circa un anno il pastore era rimasto in silenzio. Ma poi c'era stato il crollo e la sua confessione.

IL MOVENTE
Un delitto che era sfociato a seguito di una violenta lite per motivi di pascolo. A detta dell'imputato non era la prima volta che Capirchio con il suo bestiame sconfinava nel suo territorio. E non era nemmeno la prima volta che i due discutessero animatamente per gli stessi motivi.
A Vallecorsa, dove risiedevano entrambi, tutti sapevano di quelle vecchie ruggini che avevano portato a liti sempre più violente. Il giorno dell'omicidio, però, dalle parole grosse Cialei era passato alle mani. Nel culmine della diverbio l'uomo aveva imbracciato il fucile ed aveva sparato all'allevatore.

IL CORPO NEL DIRUPO
Una volta ferito lo aveva continuato a colpire con delle grosse pietre. Poi sperando di farla franca, aveva trascinato il cadavere in un altro posto dove lontano da occhi indiscreti aveva provveduto a sezionarlo ed a chiuderlo in due buste che aveva gettato nel dirupo a Lenola.
I carabinieri, che stavano indagando sul suo conto e che avevano battuto palmo a palmo tutto il territorio di Vallecorsa, si erano spostati verso Lenola dove sapevano che un parente di Cialei era proprietario di un terreno. E proprio poco distante da quell'appezzamento i militari avevano notato , in un inghiottitoio profondo sette metri, quelle due buste di plastica che contenevano il corpo fatto a pezzi del povero allevatore.
I familiari della vittima che si sono costituiti parte civile erano rappresentati dall'avvocato Filippo Misserville. Tramite il loro legale chiederanno un risarcimento danni da quantificare in sede civile. Per quanto riguarda la condanna di Cialei adesso dovrà soltanto sperare nei giudici della Corte di assise di appello di Roma.
 
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