Serena Mollicone, l'omicidio Mollicone rimasto senza colpevoli: «Tanti indizi, zero prove»

Le motivazioni dell’assoluzione per l’ex maresciallo Mottola, i familiari e i due carabinieri Il giudice: «Tanti indizi, zero prove. La ragazza colpita alla testa e soffocata da terzi ignoti»

Serena Mollicone, l'omicidio Mollicone rimasto senza colpevoli: «Tanti indizi, zero prove»
di Vincenzo Caramadre
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Martedì 7 Febbraio 2023, 07:21

LA RICOSTRUZIONE
FROSINONE Vent'anni di misteri, veleni e indagini, ma per i giudici della corte d'assise di Cassino che a luglio scorso hanno assolto i cinque imputati per l'omicidio di Serena Mollicone, avvenuto nel 2001 ad Arce, in provincia di Frosinone, è tutto da rifare perché «i numerosi indizi raccolti dalla procura non sono sorretti da prove sufficienti». Ieri dopo sette mesi dalla lettura del dispositivo della sentenza sono state depositate le motivazioni che hanno portato all'assoluzione di Franco, Marco e Anna Maria Mottola, ma anche dei carabinieri Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano. E' tutto da rifare anche perché i giudici ritengono che «dai consistenti e gravi elementi indiziari necessariamente si desume l'implicazione nella commissione del delitto di soggetti terzi che sono rimasti ignoti».
Un omicidio che, per la procura, era stato commesso all'interno della caserma dei carabinieri di Arce dopo un litigio tra Marco Mottola, figlio dell'allora comandante Franco, e la studentessa di 18 anni. I giudici, però, hanno scardinando quelle che per l'accusa erano «certezze».
L'ARMA DEL DELITTO
Tra gli elementi sui quali si è fondato il processo c'è la porta di un alloggio della caserma, contro la quale sarebbe stata sbattuta la giovane morta poi per asfissia con un sacchetto di plastica attorno alla testa. «L'ipotesi dell'impatto con la porta - sostengono i giudici - non si ritiene dimostrata dalle consulenze merceologiche e genetiche». L'elemento che ha portato la corte a questa conclusione è anche l'assenza di fratture su altre parti del corpo della vittima, oltre che sul capo.
Tassello fondamentale poi la dichiarazione di Santino Tuzi, il brigadiere morto suicida nel 2008 dopo la rivelazione choc sull'ingresso della ragazza in caserma la mattina della scomparsa. «Le versioni offerte da Tuzi - dicono i giudici - sono apparse, anche alla luce delle registrazioni, contraddittorie, incerte, confuse, frutto di suggestioni e ricostruzioni del medesimo effettuate al momento, alla luce degli elementi che gli venivano forniti».
Terzo elemento i depistaggi contestati all'ex maresciallo Mottola. «Non sono provati i depistaggi che l'ex maresciallo avrebbe compiuto in sede di prime indagini», si legge a pagina 224 delle motivazioni. Vengono elencati poi i singoli episodi del capitolo depistaggi, su tutti la convocazione di Guglielmo Mollicone, papà di Serena, in caserma ad Arce, ma anche il piccolo quantitativo di hashish trovato a casa della ragazza e il ritrovamento del suo telefono. Dunque la porta non è l'arma del delitto, l'ex maresciallo non ha depistato le indagini e le dichiarazioni di Tuzi non dimostrerebbero l'ingresso di Serena in caserma. La conclusione è che l'omicidio non è avvenuto nel luogo indicato dall'accusa: l'alloggio della stazione dei carabinieri.
LA CAUSA DI MORTE
La corte nel ricostruire la causa di morte avvenuta «per soffocamento meccanico dopo un colpo alla testa» ha anche collocato la morte della giovane in un'ora diversa da quella ipotizzata della procura. Nel primissimo pomeriggio del primo giugno 2001 ha sostenuto l'accusa. «L'ipotesi ragionevole, sorretta da evidenze scientifiche, è infatti che Serena sia morta nella notte tra il primo e il 2 giugno», si legge in sentenza. Altro elemento questo che colloca l'assassinio della studentessa lontano dalla caserma. In linea generale è stato sostenuto che «i tasselli dell'accusa si sono rivelati inconsistenti» e che addirittura sono emersi «elementi a discarico degli imputati». Si fa riferimento alle impronte digitali, non appartenenti agli imputati, trovate all'interno dei nastri adesivi utilizzati per bloccare le mani e le gambe di Serena; ma anche un Dna misto estratto da una impronta. Anche nei confronti dei due carabinieri in servizio ad Arce nel 2001, Quatrale e Suprano, finiti a processo, il primo per concorso morale in omicidio e istigazione al suicidio di Tuzi, il secondo per favoreggiamento, la corte ha ritenuto che nei loro confronti siano stati portati «solo indizi». Nessuna prova concreta.
Per Quatrale è stato detto: «Non è provato che abbia potuto assistere all'ingresso della ragazza in caserma e che abbia potuto udire la presunta colluttazione di cui Serena sarebbe stata vittima, omettendo di intervenire».
Parti civili e procura ora lavorano all'appello, nel frattempo la sorella di Serena, Consuelo ha detto: «Non ci fermiamo, la nostra battaglia va avanti».
Vincenzo Caramadre
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