Serena Mollicone, domani la sentenza sull'omicidio dopo 21 anni di misteri e depistaggi

Serena Mollicone e Franco Mottola
di Vincenzo Caramadre e Pierfederico Pernarella
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Giovedì 14 Luglio 2022, 13:04 - Ultimo aggiornamento: 17 Aprile, 16:55

Il giorno del giudizio sull'omicidio di Serena Mollicone è arrivato. Domani, venerdì 15 luglio, la Corte d'Assise di Cassino presieduta dal giudice Massimo Capurso pronuncerà la sentenza. Sono serviti cinquantadue udienze, 150 testimoni e ventuno anni di indagini per venire a capo del giallo della ragazza uccisa Arce il 1° giugno del 2001. Uno dei misteri più controversi della cronaca nera italiana che vede imputati un'intera famiglia, quella dell'allora comandante della Stazione dei carabinieri Franco Mottola, e altri due militari dell'Arma.

 

Una verità sull’omicidio, cercata per anni senza fortuna, ora per i pubblici ministeri Beatrice Siravo e Carmen Fusco ci sarebbe: Serena venne uccisa in caserma, nell’alloggio in uso alla famiglia dell’ex maresciallo Franco Mottola, l’allora comandante della Stazione dei carabinieri di Arce. La ragazza, nella mattinata del 1° giugno, durante una discussione con Marco, il figlio dell’ex maresciallo, per ragioni mai chiarite, sarebbe stata spintonata e avrebbe sbattuto la testa contro una porta perdendo conoscenza. Serena sarebbe poi morta per asfissia, soffocata a dalla busta con cui venne ricoperto il capo. Un’agonia. La ragazza, hanno detto i medici legali, poteva essere salvata. Poi, secondo la ricostruzione dell’accusa, il cadavere venne portato nel boschetto di Fonte Cupa, poco distante da Arce, dove venne trovata il 3 giugno. 

LE RICHIESTE DEI PUBBLICI MINISTERI

Dopo l’iniziale incidente con il figlio, il “regista” dell’omicidio, secondo i pm, sarebbe stato l’ex maresciallo Mottola: «Il principale sospettato ha indagato su stesso, un caso unico in Italia», ha sottolineato il pm Siravo. Per lui l’accusa ha chiesto la pena più pesante: 30 anni. Per il figlio Marco chiesti invece 24 anni, 21 per la madre Anna Maria, 15 per l’ex luogotenente Vincenzo Quatrale accusato di concorso morale nell’omicidio (perché il giorno del delitto era caserma e avrebbe coperto la famiglia Mottola e se stesso falsificando gli ordini di servizio) e 4 anni infine per l’appuntato Francesco Suprano che risponde di favoreggiamento perché avrebbe preso la porta contro cui Serena aveva sbattuto la testa eludendo le indagini.

Mottola, secondo l'accusa, approfittando del suo ruolo di comando, avrebbe depistato le indagini per allontanare i sospetti dalla sua famiglia. 

Per la difesa invece la tesi del maresciallo «sapiente manovratore» non sta in piedi: «Sa che il figlio ha fatto sbattere Serena contro la porta e si tiene la porta per 13 anni, poi quando viene trasferito la lascia lì - ha osservato l'avvocato Francesco Germani - La prima cosa che in genere si fa è far sparire l'arma del delitto, invece Mottola lascia la porta lì alla mercé del primo esperto dei Ris.

Ma vi sembra normale? I Mottola, ha aggiunto, erano e sono innocenti e consapevoli che questa Corte non potrà fare altro che ribadire questa lapalissiana verità».

I Mottola, ha tuonato la difesa, devono essere assolti con formula piena: «Nei loro confronti - hanno ripetuto i legali nel corso del processo - l'accusa ha messo su un quadro illogico con indizi privi di certezza e non concordanti tra loro», ha gridato ieri a gran voce nell’ultima arringa la difesa della famiglia Mottola chiedendo l’assoluzione. «Famiglia - hannopiù volte sottolineato le difese - vittima di una campagna d’odio mediatico».

LA PORTA E LE DICHIARAZIONI DI SANTINO TUZI

Oltre ai presunti depistaggi dell'ex maresciallo Mottola, la tesi dell'accusa si fonda su due punti:  la compatibilità tra la rottura della porta e il trauma cranico di Serena insieme alle tracce di legno trovate tra i capelli e sul nastro adesivo con cui vennero legati mani e piedi; e le dichiarazioni del brigadiere Santino Tuzi che nel 2008, sette anni dopo il delitto, disse di aver visto Serena entrare in caserma per raggiungere l’alloggio dei Mottola. Tuzi, unico testimone oculare dell’omicidio, si tolse la vita due giorni dopo il secondo interrogatorio.

Ma per la difesa sia gli accertamenti scientifici sulla porta che la testimonianza in contumacia di Tuzi non sono attendibili e non forniscono una prova certa per condannare un’intera famiglia per omicidio. Ora l’ultima parola spetta alla Corte presieduta dal giudice Massimo Capurso. Arriverà domani, ventuno anni dopo il delitto. 

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