Serena Mollicone, il medico legale della famiglia: «L'agonia è durata sei ore, poteva essere salvata»

Serena Mollicone, il medico legale della famiglia: «L'agonia è durata sei ore, poteva essere salvata»
di Vincenzo Caramadre
3 Minuti di Lettura
Venerdì 22 Aprile 2022, 12:24 - Ultimo aggiornamento: 23 Aprile, 17:30

Serena Mollicone sbattuta contro una porta all'interno della caserma dei carabinieri di Arce poteva salvarsi, ma fu lasciata agonizzante per ore prima di essere soffocata con il nastro adesivo. È la ricostruzione choc delle ultime ore di vita della 18enne di Arce (Frosinone), assassinata il 1° giugno 2001, fatta ieri in aula al tribunale di Cassino da Luisa Regimenti, consulente medico-legale per la famiglia Mollicone. A processo, per l'omicidio della ragazza, l'ex maresciallo dei carabinieri, Franco Mottola, il figlio Marco e la moglie Anna Maria, e altri due militari dell'Arma Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano.

Secondo l'accusa Serena sarebbe stata uccisa in uno degli alloggi di servizio della caserma al termine di un litigio con Marco Mottola, figlio dell'allora comandante della Stazione. «Serena dopo il violento colpo contro la porta dell'alloggio della caserma - ha spiegato la dottoressa Regimenti - cadde priva di sensi a causa di alcune fratture craniche ma poteva essere soccorsa. Fu lasciata, invece, in quelle condizioni per quattro-sei ore prima di essere uccisa dal nastro adesivo che gli è stato applicato sulla bocca e sul naso provocandone il soffocamento». L'epoca della morte, ha detto il medico legale, risalirebbe alle 19 circa del 1° giugno 2001.
 

Mollicone, la consulente conferma: «Serena uccisa il primo giugno e poi trasportata nel bosco»

Video

Nessuno degli altri consulenti, nelle precedenti udienze, aveva dato conto della lunga agonia della ragazza: «Serena poteva essere salvata, le fratture riportate dall'urto contro la porta non erano letali, se portata in ospedale, in due mesi si sarebbe rimessa», ha spiegato Regimenti alla Corte d'assise.

Quando poi è stata trasportata nel bosco di Fonte Cupa la ragazza era già morta. Sulla ricostruzione delle ultime ore di via di Serena si è soffermata anche la criminologa Roberta Bruzzone, consulente sempre per la famiglia Mollicone: «Serena, dopo lo stordimento iniziale, non moriva, per questo è stata soffocata: il nastro sulla bocca per metterla a tacere».

Altro tassello importante ai fine dell'accusa è stato fornito da Massimiliano Gemma, il marito di Anna Rita Torriero, l'amica di Santino Tuzi, il brigadiere morto suicida nel 2008 dopo le rivelazioni choc sull'omicidio. Gemma raccontò agli investigatori che la moglie gli disse di aver visto Serena Mollicone il 1° giugno 2001 in caserma.

Quel giorno la Torriero sarebbe andata a portare un panino a Tuzi. La donna, ascoltata in aula, ha negato di aver incrociato la ragazza. Ma il marito ieri in aula prima ha detto più volte di non ricordare, poi incalzato dal presidente della Corte, il giudice Capurso, ha confermato quanto dichiarato nel corso delle sommarie informazioni ai carabinieri e al pm. La testimonianza di ieri di Gemma fa il paio con quanto già dichiarato da Sonia Da Fonseca: anche lei, nelle scorse udienze, ha riferito che la Torriero le disse di aver visto Serena in caserma.

© RIPRODUZIONE RISERVATA