Omicidio di Serena Mollicone, i colleghi di Santino Tuzi: «Turbato dopo le rivelazioni»

Omicidio di Serena Mollicone, i colleghi di Santino Tuzi: «Turbato dopo le rivelazioni»
di Vincenzo Caramadre
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Sabato 30 Ottobre 2021, 12:09 - Ultimo aggiornamento: 14:19

La solitudine e il dramma di Santino Tuzi. Nel processo per il giallo di Arce, all'udienza di ieri dinanzi alla Corte d'Assise del Tribunale di Cassino, è stato rivissuto il giorno in cui il brigadiere si è suicidato. Ripercorsi i tempi, i luoghi e lo stato d'animo del carabiniere, ma anche la sua sfiducia, sfociata in odio nei confronti dei colleghi dopo le rivelazioni sull'omicidio di Serena Mollicone

A parlarne è stato uno dei colleghi della stazione dei carabinieri di Fontana Liri, il maresciallo Roberto Mattei. «Santino Tuzi non era sereno, dopo ogni interrogatorio era agitato e provato», ha riferito il maresciallo Mattei. I colleghi lo monitoravano, proprio la mattina dell'11 aprile il maresciallo Mattei assieme al comandante della stazione Tersigni, lo incontrarono poco dopo mezzogiorno mentre erano in auto in località Braccio di Arpino. Lo invitarono a recarsi a pranzo in caserma, ma «lui accelerò e andò via», ha raccontato Mattei.

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Nella concitata mattinata dell'11 aprile 2008 era stata diramata la segnalazione di rintracciare e disarmare Santino Tuzi perché aveva manifestato ad una sua conoscente l'intenzione di farla finita. «Nel suo armadietto c'era la divisa, ma mancava la pistola che di solito lasciava in caserma.

Nella segnalazione era stato detto di fare molta attenzione perché Santino pare avesse espresso l'intenzione di sparare contro il primo carabiniere che si sarebbe trovato di fronte», ha raccontato Mattei. «Ci siamo mossi con molta cautela», ha aggiunto.

Il ritrovamento del corpo alla diga di Sant'Eleuterio avviene intorno alle 13, dove la pattuglia di colleghi arriva, ma sul posto c'erano alcuni operai Enel e un amico di Santino, il primo a trovare il corpo senza vita all'interno della sua Fiat Marea.

Senza risposta il mistero dei due colpi mancanti (oltre a quello con cui si è tolto la vita) dal caricatore della pistola d'ordinanza di Santino Tuzi.

«Santino non si fidava più di noi colleghi»

Il brigadiere Tuzi non si fidava dei colleghi. Un dato emerso anche dal controesame del luogotenente Marco Sperati, uno degli investigatori del comando provinciale nel 2008. Al centro dell'escussione del teste, la testimonianza resa da Tuzi al termine del calvario di 13 giorni, dal 28 marzo in cui fece le rivelazioni sulla presenza di Serena in caserma all'11 aprile 2008, quando si tolse la vita. «Tuzi non voleva parlare con noi. Il 9 aprile, quando arrivò in Procura, dopo aver ritrattato la versione del 28 marzo, disse che non avrebbe più parlato con noi».
Solo parlando con il pm Perna, che coordinava le indagini, Tuzi confermò di nuovo la presenza di Serena in caserma.

La difesa Mottola ha chiesto chiarimento sull'ipotesi che ci potesse essere un coinvolgimento diretto di Tuzi nell'omicidio di Serena. «Il sospetto ha risposto Sperati era maturato dal fatto che c'era stata la ritrattazione e che Tuzi a fine turno avrebbe potuto dare un passaggio a Serena».

Una pista che ben presto si rivelò del tutto infondata. Restano invece le sue rivelazioni su Serena che costituiscono un elemento centrale in tutto l'impianto accusatorio della Procura per portare a processo Marco, Franco, Anna Maria Mottola, Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano. La difesa di Mottola ha fatto rilevare sia con l'avvocato Germani sia con l'avvocato Marsella che non ci sarebbe certezza sul fatto che nelle dichiarazioni di Tuzi siano indicati il giorno e soprattutto il nome della ragazza. A questa domanda il teste Sperati ha risposto di «non ricordare se Tuzi avesse dichiarato che era Serena ho di aver visto genericamente entrare in caserma una ragazza».
 

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