Pandemia e adolescenti, la psicoterapeuta: «Ragazzi responsabili, ma in tanti casi minato il loro equilibrio»

Pandemia e adolescenti, la psicoterapeuta: «Ragazzi responsabili, ma in tanti casi minato il loro equilibrio»
di M. Laura Lauretti
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Giovedì 24 Giugno 2021, 12:30 - Ultimo aggiornamento: 13:06

Ci sono i giovani tra i più colpiti dagli effetti collaterali dell’isolamento domiciliare imposto per arginare la diffusione del Covid19. Lo dicono le cronache e non si tratta, purtroppo, di analisi riguardanti freddi numeri o statistiche ma di episodi che, diffusamente, in tutta Italia, hanno avuto protagonisti gli adolescenti, in un’escalation iniziata con l’esplosione di violente risse e culminata in qualche caso, purtroppo, con tentativi di togliersi la vita.

Per provare a spiegare alcune delle conseguenze cui la pandemia ci sta costringendo abbiamo rivolto qualche domanda alla dottoressa Annalucia Borrelli, Presidente dell’Associazione Gruppi Italiani di Psicoterapia Psicoanalitica dell’Adolescenza (AGIPPsA) e Membro Didatta dell’Associazione Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica dell’Infanzia, dell’Adolescenza e della Famiglia (AIPPI) che, ancora prima di iniziare, si dice lieta di poter aprire uno spazio dedicato ai ragazzi perché «da quando è iniziata la pandemia si è parlato poco degli adolescenti e, quando lo si è fatto, sono stati spesso utilizzati toni di biasimo e condanna nei loro confronti. E’ bene, invece, che gli adulti si interroghino su quanta cura e quanta fiducia sia stata trasmessa ai più giovani in questo periodo per farli crescere in condizioni ottimali dotandoli di strumenti per proiettarsi nel futuro».

E’ proprio per questo motivo che la comunità degli psicoterapeuti che afferisce ad AGIPPsA il prossimo ottobre si incontrerà sul tema: “Crescere nonostante: la creatività nell’adolescente tra soggettività e relazioni” in cui si andrà a valutare l’impronta lasciata dalla pandemia sui percorsi evolutivi dei ragazzi e se le condizioni paradossali vissute abbiano attivato una crescita creativa o se invece siano state utilizzate per eluderla o per ritirarsi.

Dottoressa, secondo lei l’impatto con la pandemia è collegato ai comportamenti e alle azioni che alcuni ragazzi decidono di intraprendere, spesso contro loro stessi?

«La domanda principe che si pone l’adolescente è: Chi sono? Chi voglio diventare? Chi sarò in grado di diventare? Il corpo che cambia e il marasma emotivo che comporta gli fa percepire il corpo come nemico. Prende, allora, il sopravvento il suo bisogno di pace piuttosto che il fatto reale di mettere in pericolo la propria vita.

Le statistiche dell’OMS, così come quelle di tanti ospedali italiani, ci dicono che in pandemia sono aumentati i tentativi di suicidio, in particolare tra i giovani. Sembra che la pandemia sia andata a minare fragili equilibri e ad alimentare situazioni conflittuali; che abbia, cioè, “slatentizzato” qualcosa che già covava e che talvolta è deflagrato.

Non a caso la parola più adatta per definire la esperienza che stiamo ancora vivendo, seppur ora in modo meno pressante, è “perturbante” che indica tutto ciò che attiene allo spaventoso, che genera angoscia e che attiva in noi un’intensa esperienza emotiva che non tutti sono in grado di significare».

Nei termini del disagio giovanile l’esperienza del Covid19 che differenze ha fatto registrare rispetto al passato? Cioè, voi esperti che li state ascoltando, individuate traumi ‘nuovi’?

«Intanto mi preme precisare che nel primo lockdown molti adolescenti sono stati i più ligi nell’osservare le regole governative tanto che alcuni giornali hanno pubblicato studi e relative statistiche che li hanno definiti più responsabili degli adulti e molto più resilienti.

Laddove hanno saputo sopportare la solitudine e non si sono “dovuti” quindi mostrare forti davanti ai pari, hanno potuto vedere come non persecutorie le regole, ma come salvavita, ponendoli davanti al “limite”. Molto spesso questo imprevisto della pandemia ha introdotto una spinta propulsiva. Non dimentichiamo che le crisi, le mancanze, possono essere fertili attivatrici di pensieri nuovi. Non è utile dimenticare il trauma ai fini della crescita psichica, il dolore; occorre riattraversarlo per poterlo dotare di nuovi significati.

Per tornare alla sua domanda, come le ho detto il compito dell’adolescenza è quello della soggettivazione, di diventare persona dentro un corpo proprio e nuovo, e ciò ha una valenza spazio-temporale. Con il tempo fermo della pandemia, invece, l’adolescente si è trovato con un’improvvisa interruzione del presente in cui fare esperienza di sé e con una nebulosa ed incerta rappresentazione della sua vita nel futuro, un futuro che cominciava appena ad immaginare. La prima mancanza subita è quella del gruppo dei pari, da incontrare a scuola, nella piazza, negli impianti sportivi che corrobora la sua capacità di stare nel mondo. Il gruppo in adolescenza ha una valenza centrale per la crescita in quanto rappresenta la rottura ed il superamento dalla dipendenza infantile dai genitori e tutta la costruzione identitaria adolescente si nutre da questo incontro. E’ accaduto, invece, che si siano ritrovati chiusi in casa, regressivamente vicino ai genitori, talvolta in situazioni claustrofobiche, spesso senza spazi propri e con un confronto coi pari ridotto agli incontri virtuali. Sicuramente anche questo mezzo riesce a garantire, anzi talvolta la facilita, la relazione con l’altro, rendendola intima, partecipata, confidenziale, ma certamente annulla il corpo ed il corpo a corpo che caratterizza le relazioni adolescenziali».

Che interpretazione può dare, invece, ai casi di violenza che si sono registrati, per esempio le numerose risse che si sono verificate in diverse città d’Italia?

«I fenomeni di banda di giovani che fanno a botte derivano da questa condizione in cui l’inquietudine può sovrastare l’individuo e non si è capaci di agganciarsi alla propria bussola interna. Il gruppo, quindi, può essere anche usato a scopi difensivi agendo meccanismi proiettivi primitivi e modalità violente come difesa dal limite e dalla inevitabile quota di dolore che la crescita impone. Ma siamo certi che dietro l’attacco non ci sia anche un bisogno di contatto tra corpi rimasti reclusi molto tempo?

L’isolamento e la distanza hanno anche legittimato ed aumentato i fenomeni di ritiro sociale che compaiono quando il Sé è a rischio di rottura e di frammentazione per cui potenti meccanismi di difesa rendono inagibile l’uso del gruppo. Chi fa la scelta difensiva del ritiro riduce l’ingombro del corpo nelle relazioni umane».

Ci sono degli indizi che possono far capire i disagi che un ragazzo sta manifestando in questo particolare momento storico?

«Bisogna sempre ricordare che c’è una complessità dietro i comportamenti adolescenti (e quelli qui richiamati sono solo una piccola parte di quello che abbiamo osservato nei nostri studi o nelle comunità) e la superficialità di cui li accusiamo coincide solo con la superficialità con cui giudichiamo i loro agiti.

In questo periodo, si sono visti trattati come untori, irresponsabili, li abbiamo chiusi nelle loro stanze, li abbiamo isolati, abbiamo detto loro, quando erano piccoli, che è sbagliato avere paura facendoli, quindi, vergognare delle loro fragilità mentre noi adulti  abbiamo spesso fallito nel nostro compito di dare significato emotivo e simbolico a quanto hanno provato a comunicarci attraverso i loro comportamenti, per quanto trasgressivi.

E sono stati gli ultimi a poter essere vaccinati. Certamente sono validi i criteri vaccinali adottati, ma intanto il messaggio veicolato sembra essere che o le loro vite valgono di meno oppure che sono invincibili e in questo caso alimentiamo l’onnipotenza di comportamenti irresponsabili».

Che cosa può fare il genitore, o comunque un adulto, per rivolgere un primo sostegno ad un adolescente che manifesti difficoltà e malessere?

«Compito degli adulti è quello di svolgere una funzione contenitiva, cioè di dare significato emotivo e simbolico a quanto i più giovani provano e che ci comunicano attraverso i loro comportamenti. E di andare a guardare la complessità. Gli adolescenti più fragili sono affetti da un’inquietudine narcisistica che li induce a dubitare delle proprie capacità e delle proprie risorse interne. Allora come adulti, come genitori non dobbiamo solo consolare o additare l’adolescente come colui che “fa quello che vuole e come vuole”, ma di riconoscere che, piuttosto, non sapendo cosa vuole, è disperatamente alla ricerca di referenti adeguati.

Se collassano, dunque, le strutture deputate al contenimento come la scuola, la famiglia, le istituzioni in genere, la fragilità psicologica sarà la prossima pandemia che dovremo affrontare se non interveniamo per tempo.

Ricordo, infine, che la parola “cura” è interessamento attento, è riguardo. Non è semplice “attenzione” che può essere anche solo di pochi attimi. La cura è un processo, un progetto che si sviluppa fra passato, presente e futuro e in cui si accoglie il dolore dell’altro, soprattutto quando deve ancora prendere forma. La cura è promessa di un senso condiviso. Questo è il nostro compito di adulti verso le giovani generazioni, se vogliamo dotarle di futuro».

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