Willy, al via il processo in appello: guerra tra le difese su chi ha sferrato il colpo mortale

I fratelli Gabriele e Marco Bianchi in primi grado condannati all'ergastolo, 23 anni a Francesco Belleggia e 21 a Mario Pincarelli

Willy Monteiro Duarte e i fratelli Marco e Gabriele Bianchi
di Pierfederico Pernarella
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Lunedì 27 Marzo 2023, 23:03 - Ultimo aggiornamento: 5 Aprile, 15:13

I fratelli Gabriele e Marco Bianchi, Francesco Belleggia e Mario Pincarelli volevano uccidere Willy Monteiro Duarte  oppure la morte del 21enne di Paliano non è dipesa dalla loro volontà? Riparte da questa domanda lo scontro in tribunale sul pestaggio che costò la vita al cuoco italocaporvediano nella notte tra il 5 e il 6 settembre del 2020 a Colleferro. Questa mattina parte il processo davanti alla Corte d'Appello di Roma, presieduta dal giudice  Vincenzo Gaetano Capozza, dopo le condanne di primo grado per omicidio volontario inflitte nel luglio dello scorso anno dalla Corte d'Assise di Frosinone: ergastolo per i fratelli Bianchi, 23 anni a Belleggia e 21 anni a Pincarelli.

Alla base del nuovo processo da un lato le 74 pagine di motivazioni in cui i giudici ricostruiscono l'aggressione a Willy come un'esecuzione a colpi di MMA, l'arte marziale praticata dai fratelli Bianchi; dall'altro gli appelli dei difensori che puntano quanto meno a far derubricare l'accusa da omicidio volontario a preterintenzionale puntando sull'inattendibilità dei testimoni (perché forse ubriachi) e su aspetti medico-legali. Ma cosa successe quella sera?

LA RICOSTRUZIONE

Era quasi mezzanotte, Willy aveva finito di lavorare in un ristorante di Artena e raggiunse il resto della comitiva a Colleferro. Quando arrivò ai giardinetti vide un parapiglia. Un suo amico, Federico Zurma, stava discutendo con dei ragazzi di Artena, Belleggia e Pincarelli.

Willy corse in suo soccorso per portarlo via dalla mischia. In realtà la lite, scrivono i giudici, era già in fase di risoluzione. Qualche parola grossa, ma niente di più. Tutto cambiò quando irruppero i Bianchi.

Il loro arrivo, sottolineano i giudici, «fungeva da detonatore di una cieca furia». I quattro imputati, a quel punto, «si compattavano a falange ed avanzavano in modo sincrono, impattando contro il corpo del povero Willy». Il 21enne di Paliano, ricostruiscono i giudici, viene prima colpito al petto da Gabriele Bianchi con calcio che lo fa volare verso un’auto in sosta. Willy prova a rialzarsi e sempre Gabriele lo colpisce con un pugno, mentre il fratello Marco con un calcio neutralizzava il tentativo dell’amico di correre in aiuto di Willy». La vittima è stata poi colpita con calci e pugni «inferti da tutti e quattro gli imputati, anche mentre era inerme a terra».

Sul corpo di Willy si conteranno oltre una decina di colpi. I magistrati sottolineano che gli imputati, tutti, erano consapevoli di poter uccidere: «Gabriele sapeva di sferrare contro il povero Willy un colpo che, in quanto vietato dalle regole delle arti marziali, era potenzialmente mortale». E tutti gli altri hanno continuato a infierire sulla vittima, non lasciandole scampo.

IL COLPO LETALE

Anche in Appello, come accaduto in primo grado, si assisterà allo scaricabarile tra gli imputati su chi ha inferto il colpo mortale a Willy. Secondo i giudici di primo grado il decesso è stato provocato da un arresto cardiaco causato da un calcio al petto scagliato da Gabriele Bianchi. Per  le difese dei lottatori di Artena (gli avvocati Ippolita Naso e Valerio Spigarelli per Gabriele e l'avvocato Vanina Zaru)  Willy sarebbe morto per un trauma al collo colpito dagli altri imputati, Belleggia e Pincarelli.  Per questo sarà chiesta una nuova perizia medico-legale. Tra l’altro, secondo i difensori dei Bianchi, il calcio al petto «non è affatto un colpo proibito dall'arte marziale» e «nessuno ha descritto l’agire di Bianchi come una sorta di killer armato dei propri arti». Insomma, «l’essere un atleta di Mma non lo rende una macchina da guerra».

TESTIMONI UBRIACHI

Poi c'è il ruolo dei testimoni che, secondo i difensore dei Bianchi, non possono essere ritenuti attendibili. I loro racconti, dicono i legali, sono stati piegati alla tesi accusatoria e non è stato accertato «chi e in che misura avesse assunto quanto meno alcolici», fatto che «avrebbe probabilmente delineato lo scenario della reale attendibilità e della genuinità dei ricordi». Inoltre i testimoni così come i giudici, sostengono le difese dei Bianchi, sarebbero stati condizionati dal processo mediatico che aveva già condannato i fratelli di Artena.

PROCESSO MEDIATICO

Per i giudici di primo grado, al contrario, l'attendibilità dei testimoni è dimostrata dal fatto che persino gli amici dei Bianchi (Omar Shabani, Vittorio Tondineli e Michele Cerquozzi) hanno confermato l'aggressione. L'aspetto del clamore mediatico era stato sollevato dalla difesa dei Bianchi anche nel processo di primo grado, tesi che secondo i giudici di primo grado è sconfessata dal fatto che le deposizioni dei testimoni in aula sono state tutt'altro che omologate ed ognuno ha fornito il proprio racconto dei fatti in base al punto in cui si trovava.

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