Tre anni fa l'omicidio del piccolo Gabriel Feroleto, chiesta una nuova perizia per la madre

Tre anni fa l'omicidio del piccolo Gabriel Feroleto, chiesta una nuova perizia per la madre
di Vincenzo Caramadre
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Domenica 17 Aprile 2022, 10:53 - Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 21:11

Oggi ricorre il terzo anniversario della morte di Gabriel Feroleto, i familiari tutti lo ricorderanno con una messa che si terrà martedì prossimo, 19 aprile, alle ore 19 nella chiesa Sant'Antonio di Cassino.

 La chiamata al 118 arrivò poco dopo le 15,10 del 17 aprile 2019. A chiedere aiuto era una donna, vicina di casa di Donatella Di Bona: «Correte, un bambino è in fin di vita». I sanitari fecero il possibile per salvarlo: gli fu praticato un prolungato massaggio cardiaco, sul posto atterrò anche l'eliambulanza, ma fu tutto inutile. Il cuore del bambino cessò di battere.

Gabriel era un bambino gioioso, quel pomeriggio voleva solo tornare a casa, dalla nonna, dove aveva i suoi giocattoli e dove c'era il suo mondo.

Una giornata che, per Donatella Di Bona, finirà a notte fonda: solo dopo aver confessato l'assassinio del figlio.

Cercò, in un primo momento, di sostenere la tesi dell'investimento del figlio da parte di un'auto pirata. Ma dinanzi alle tante incongruenze contestate dai pm raccontò tutto, addossandosi le responsabilità. «L'ho ucciso io». E si chiuse nel silenzio. Ma agli investigatori c'erano ancora molti aspetti che non tornavano. Dopo un mese in un lungo interrogatorio tirò in ballo anche il padre del bambino, Nicola Feroleto. «Eravamo assieme, quando l'ho soffocato», disse.

IL RICORSO IN CASSAZIONE

Intanto gli avvocati di Donatella Di Bona annunciano  il ricorso in Cassazione. La difesa della donna (rappresentata dagli avvocati Lorenzo Prospero e Chiara Cucchi), con la conclusione del processo d'appello insiste sulle precarie condizioni psichiche della donna al momento del fatto.

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La Corte d'assise d'appello di Roma, infatti, non ha accolto la richiesta di perizia psichiatrica per cui ora tutto verrà riproposto in punta di diritto dinanzi alla Corte di Cassazione. In sostanza gli avvocati mirano ad una nuova perizia che possa, anche alla luce del vissuto di Donatella, valutarne lo stato psichico. L'azione estremamente violenta messa in atto dalla donna contro il figlio, secondo gli avvocati della difesa, non può essere il frutto di una persona lucida e con equilibrio psicologico.

La decisione di rivolgersi alla Suprema Corte è arrivata all'indomani del deposito delle motivazioni della condanna a 16 anni inflitta dalla corte d'assise d'appello di Roma e ufficializzata ieri, a 24 ore dal terzo anniversario della morte del bambino. «Su quattro motivi di appello è stato accolto solo quello sul bilanciamento delle attenuanti generiche con le aggravanti, di conseguenza riproporremo in Cassazione la questione sulla capacità di intendere e volere», hanno spiegato dalla difesa.

LE MOTIVAZIONI

Al centro della decisione d'appello c'è stata proprio la perizia psichiatrica del processo di primo grado che si è svolto con il rito abbreviato dinanzi Gup del Tribunale di Cassino. In appello sono state evidenziate le carenze culturali, ma soprattutto sociali per la «mancanza di un punto di riferimento familiare ma anche istituzionale». Dunque ora la difesa s'interroga su chi, a livello istituzionale, possa aver avuto un ruolo nella mancanza evidenziata dai giudici.

«Tra le righe della perizia - hanno scritto i giudici - emerge come alla Di Bona siano mancati i necessari interventi educativi, pedagogici e culturali, nonché vere figure di riferimento che avrebbero potuto aiutarla nel suo processo di crescita personale. Anche i rapporti familiari non hanno avuto quegli effetti positivi che si sarebbe potuto aspettare».

IL RUOLO DEL PADRE

Nicola Feroleto 50enne, padre del piccolo, condannato a 24 anni di carcere in appello, il ricorso in Cassazione è già stato depositato dall'avvocato Pasquale Cardillo Cupo, si è in attesa della data in cui verrà discusso. Nel primo pomeriggio Nicola e Donatella si appartarono in una strada non molto distante l'abitazione dove il bambino viveva con la madre, con loro era presente il piccolo, faceva i capricci perché voleva tornare a casa. La madre in un momento d'ira lo soffocò chiudendogli con una mano naso e bocca. Il padre Nicola, per l'accusa, era presente, ma non avrebbe fatto nulla per impedire la morte del figlio.
 

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