In Tribunale a Roma, assieme alla famiglia Morganti al completo per la lettura della sentenza in Appello, c'era anche il regista e scrittore Daniele Vicari, autore del libro Emanuele nella battaglia, edito da Einaudi, che ha ripercorso le prime tappe della vicenda dell'omicidio del giovane alatrense e che ha vinto e si è classificato finalista in diversi premi nazionali di letteratura.
Il legame tra il regista romano e la famiglia negli anni si è consolidato fino a diventare un'amicizia, fondata sulla condivisione di un dolore così profondo che, tuttavia, dal di fuori si riesce solo ad immaginare. «Non mi aspettavo molto di più da questa sentenza» racconta Vicari.
«Anzi, sono sollevato quanto la famiglia , perché non era neanche scontato che le condanne venissero confermate. Del resto per un omicidio preterintenzionale in Italia si va da un minimo di dieci ad un massimo di diciotto anni ma l'importante è che sia stata ribadita la colpevolezza di chi quella fatidica sera ha colpito Emanuele fino a procurargli la morte. La volontarietà non è stata riconosciuta- continua l'autore- ma questo è dovuto anche e soprattutto alle testimonianze lacunose e a parziali smentite nel processo di quanto dichiarato dai testi durante le sommarie informazioni testimoniali davanti alla Procura o alla Polizia Giudiziaria.
Delusione e frustrazione anche tra gli amici di Emanuele e della famiglia che non hanno mai smesso di fargli sentire la propria vicinanza durante questi lunghi quattro anni.
«Non vogliamo arrenderci ed accettare questa sentenza anche se va rispettata come tutte le decisioni della Magistratura», afferma Gianni Padovani, amico dei genitori di Emanuele e uno tra i più presenti in tutte le battaglie portate avanti. «Certo è che giustizia non è stata fatta questa volta e ognuno di noi crede meno nella legge. Noi continueremo a fare l'unica cosa che sappiamo e possiamo fare, dimostrare la nostra presenza alla famiglia che non ha più un figlio e un fratello amato».