Mollicone, la difesa di Mottola: «Non trasportò il cadavere, lo dimostra una telefonata con il padre di Serena»

Mollicone, la difesa di Mottola: «Non trasportò il cadavere, lo dimostra una telefonata con il padre di Serena»
di Alberto Simone e Pierfederico Pernarella
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Giovedì 7 Luglio 2022, 18:22 - Ultimo aggiornamento: 18:55

Sono terminate poco fa le arringhe difensive degli avvocati della famiglia Mottola accusa dell'omicidio di Serena Mollicone. Tra le prove portate dai legali per dimostrare l'innocenza dell'allora comandante della Stazione dei carabinieri di Arce, l'ex maresciallo Franco Mottola, il figlio Marco e la moglie Annamaria, c'è una telefonata partita dalla caserma dell'Arma, dove secondo l'accusa Serena sarebbe stata uccisa il 1° giugno del 2001, a Guglielmo Mollicone. A chiamare il padre della ragazza sarebbe stato l'ex comandante Franco Mottola che gli chiedeva di rientrare in caserma. La telefonata, sostiene la difesa, sarebbe stata fata alle 00.43. E per l'accusa, ha detto l'avvocato, a quell'ora, mezzanotte e mezza e l'una, il cadavere di Serena sarebbe stato portato nel boschetto di Fonte Cupa dove è stato poi ritrovato due giorni dopo, il 3 giugno 2001. 

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«Certamente quella chiamata dimostra che non può essere avvenuto il trasporto del cadavere in quel momento e in nessun altro momento perché il comandante Mottola era all'interno della caserma - ha sottolineato l'avvocato Mauro Marsella - La signora Annamaria non aveva la patente e non poteva guidare, quindi non ha potuto sopperire a questo macabro lavoro».

Nelle arringhe difensive l'avvocato Marsella e il collega Piergiorgio Di Giuseppe, hanno puntato sull'impianto assolutamente indiziario dell'accusa.

Indizi che, secondo i legali, non provano alcuna certezza e non sono concordanti tra loro. Sulle dichiarazioni del brigadiere Santino Tuzi che proverebbero la presenza di Serena in caserma la mattina del 1° giugno 2001, i legali della famiglia Mottola hanno sostenuto che il brigadiere non può essere ritenuto un testimone attendibile, come del resto aveva concluso lo stesso pubblico ministero Beatrice Siravo (che oggi rappresenta l'accusa nel processo) nel precedente procedimento giudiziario sul delitto di Arce per il quale aveva chiesto l'archiviazione.  Secondo gli avvocati l'assassino di Serena è quello che ha lasciato le impronte sul nastro adesivo avvolgeva le caviglie e i polsi della ragazza. Impronte rimaste senza un'identità. 

Per la difesa la famiglia Mottola deve essere assolta con formula piena. 

La procura di Cassino lunedì ha chiesto la condanna a 30 anni per l'allora comandante della caserma di Arce, Franco Mottola, a 24 per il figlio Marco e a 21 per la moglie Anna Maria. Nella requisitoria, i giudici hanno chiesto anche una condanna a 15 anni per Vincenzo Quatrale, all'epoca vice maresciallo e accusato di concorso esterno in omicidio, e 4 anni per l'appuntato dei carabinieri Francesco Suprano a cui è contestato il favoreggiamento. Entrambi, secondo l'accusa, sapevano cosa era successo in caserma, ma decisero di non parlare.

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