Ilaria Roma, la scienziata di Ceccano che progetta missioni spaziali: «Lo sognavo da bambina»

L'ingegnere di 42 anni a capo di un team dell'Agenzia spaziale europea che ha sede in Olanda

Ilaria Roma, la scienziata di Ceccano che progetta missioni spaziali: «Lo sognavo da bambina»
di Marco Barzelli
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Domenica 12 Febbraio 2023, 07:50

Un'eccellenza italiana, un orgoglio ciociaro, una donna che ce l'ha fatta, anche contro il maschilismo scientifico. La ceccanese Ilaria Roma, ingegnere aerospaziale dell'Estec-Esa, è stata nuovamente protagonista nella Giornata internazionale delle donne e ragazze nella scienza. Ricadeva ieri e l'Agenzia spaziale europea (Esa) ha schierato il primo team tutto al femminile per la progettazione delle missioni spaziali. Spicca proprio Ilaria Roma, 42 anni, da quattro caposquadra della sezione strategica del Centro europeo per la ricerca e la tecnologia spaziale.

È il cuore pulsante della "Nasa" del vecchio continente, situato a Noordwijk, nell'Olanda del sud.

Il "battito" lo scandisce lei, già celebrata nel quintetto Stem dell'Esa: le cinque donne più importanti in Europa con interessi e competenze in scienza, tecnologia, ingegneria e matematica. In una squadra composta da sole donne, figurano anche le britanniche Claire Parfitt e Tatjana Mandil, e la spagnola Beatriz Sanchez De La Villa.

Ingegner Roma, che significato ha questo team tutto al femminile?
«A quasi 25 anni dalla fondazione, il centro di progettazione ha appena concluso il primo studio condotto da sole donne: manager, team leader, ingegnere dei sistemi e assistente. Le cose stanno finalmente cambiando rispetto a quando, nel 1999, eravamo meno di dieci ragazze su oltre cento studenti di ingegneria aerospaziale alla Sapienza di Roma».

Gli ingredienti speciali del suo team?
«La diversità. E non può mancare il divertimento. Nessuna missione può essere progettata senza appassionarsi almeno un po'».

Di cosa vi state occupando ora?
«Abbiamo avviato uno studio a gennaio in preparazione a una missione esclusivamente europea di esplorazione umana e robotica dello spazio. Tra l'altro, il team leader Giorgio Cifani è ciociaro, così come l'autrice dei rapporti finali degli studi, Daniela Lomanto. Con loro sembra di essere un po' più a casa, sebbene dopo 17 anni sono a casa anche qui, tra una ciocia e uno zoccolo».

Nostalgia di casa?
«Non sparirà mai, mancano la famiglia, gli amici e tutto l'affetto che i ceccanesi mi riservano e mi dimostrano in ogni occasione reale e virtuale».

Via social mostra più le sue doti in cucina...
«Non manco mai di condividere le "mbriachelle" che mi ha insegnato a fare nonna Teresina 35 anni fa e che i colleghi di tutta Europa divorano in pochi minuti».

Cosa dice a un bambino che sogna lo spazio?
«Di ascoltare sogni e passioni, perché se ci si crede si avverano. Arrivare a Noordwijk era il mio sogno nel cassetto, diventare caposquadra era qualcosa di neanche lontanamente immaginabile. Eppure eccomi qua. Ho studiato e lavorato sodo, certo, ma non ho lasciato che paura o preconcetti mi precludessero le opportunità».

Qualche consiglio utile?
«Ai genitori raccomando di incoraggiare i ragazzi, aiutandoli a scoprire i loro talenti e aiutandoli a sentirsi sicuri. Ai mariti raccomando di incoraggiare le mogli perché il supporto in casa è fondamentale per garantire la dedizione che comporta un lavoro nella scienza. A tutti raccomando la cosa che più mi piace: restare persone semplici, senza paura di sbagliare, l'unico modo di crescere».

C'è ancora maschilismo nella scienza?
«Mille volte mi sono sentita dire che mi interessava "roba da uomini", che non mi sarei mai potuta trasferire tutta sola in un paese estero. Per fortuna i tempi sono cambiati. Spero che nessuno lo dica più a un ragazzo che insegue un sogno. L'importante è ascoltare sé stessi».

Un aneddoto dall'Olanda?
«Sono una minuscola donnina in un paese di giganti e si sono palesati i manutentori nel nostro laboratorio mentre il team di progettazione era all'opera. Li ho informati che la manutenzione non era possibile, ma sono stata derisa, dicendomi che quella decisione spettava al capo del laboratorio. Avevano dato per scontato che non potessi essere io. Ora, ogni volta che mi vedono, si scusano con un inchino. Per fortuna non capita quasi mai di soffrire per il mio genere. È tutto nella testa: se non ci si sente da meno, non si è da meno e non si viene trattati da meno».
 

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