Arresti dopo il suicidio dell'imprenditore, la moglie: «Grazie agli investigatori, ma nessuno purtroppo ci restituirà Roberto»

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Venerdì 24 Giugno 2022, 06:00

di Giovanni Del Giaccio

Adesso che li hanno arrestati loro possono uscire allo scoperto. Lo avevano già fatto, prima che Roberto si togliesse la vita e subito dopo. Ora che due di coloro che rilevarono l’azienda di trasporti con un raggiro sono in carcere e che per i compartecipi ci sono misure interdittive e sequestri, è già una prima vittoria. Per la moglie dell’imprenditore suicida e per i figli. È la donna, attraverso un video, a raccontare quello che è successo e a ringraziare per il risultato raggiunto la Guardia di Finanza che proprio ieri celebrava il 248° annuale dalla fondazione. «L’azienda è stata creata da me e mio marito nei primi anni 80 - dice Giovanna Crescenzi - Abbiamo fatto 40 anni di sacrificio e da un unico mezzo siamo arrivati ad avere un parco di 70, un impero nel nostro piccolo, in provincia di Frosinone». L’azienda Girolami è ancora operativa, i proprietari di oggi stanno lottando per riprendersi quello che la banda presa nei giorni scorsi si è presa con il raggiro. «In economia, dice la vedova di Roberto - ci sono periodi bui e noi abbiamo risentito di questo. Nel 2016 mio marito ebbe i primi contatti con questo gruppo che poi ha rilevato l’asset aziendale nel 2019 con promesse che sembravano apparentemente buone e poi si sono dimostrate soltanto fasulle, tanto che alla fine sicuramente avendo avuto il sentore che era stato truffato si è suicidato».

IL RAGGIRO
Eppure c’erano state già segnalazioni dei familiari che però non vennero prese in considerazione. Si parlava del contratto capestro firmato dall’uomo, il giorno dell’uscita da un ricovero in struttura psichiatrica dove era finito per la depressione dovuta alla sua situazione con l’azienda. Nulla. In quel contratto c’era un acconto di 130.000 euro, quindi il pagamento di 2.000 euro mensili che non sarebbe mai avvenuto, solo che a garantire l’operazione con una fidejussione era stato lo stesso imprenditore. Quando non arrivavano i soldi delle rate, di fatto doveva pensarci lui stesso. Non avrebbe potuto prendersela con nessuno. I familiari stanno portando avanti una battaglia per riprendersi quell’assett oggi sequestrato dal Tribunale di Frosinone, ma i tempi sono lunghi. «In tutto questo - dice la moglie - da una parte sono contenta, perché grazie alla Guardia di finanza, dai vertici e non trascurando tutto il resto di chi ha fatto un lavoro ineccepibile, noi oggi una parte del riscatto lo abbiamo avuto. Al tempo stesso abbiamo il rammarico che Roberto non c’è più e di questo soffriamo io e i miei figli». 

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