Frosinone, in aumento i contagi sul lavoro. La Cisl: «Non abbassiamo la guardia»

Frosinone, in aumento i contagi sul lavoro. La Cisl: «Non abbassiamo la guardia»
di Matteo Ferazzoli
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Martedì 30 Marzo 2021, 10:33

Continuano a crescere nella Provincia di Frosinone i contagi Covid contratti nei luoghi di lavoro. Attualmente, secondo l’Inail (istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro) in tutta la Ciociaria, nel periodo che va da gennaio 2020 a febbraio 2021, sono state 652 le denunce di infortunio sul lavoro da Covid-19. Nel report Inail dello scorso gennaio, invece, in Provincia i casi legati ad infortuni lavorativi da coronavirus erano 580, 72 in meno rispetto allo scenario attuale.


«Quello odierno non è un quadro che deve farci stare tranquilli – ragiona Pasquale Legnante, segretario organizzativo della Cisl di Frosinone- né è da considerarsi di poco conto». Nella Ciociaria, osservando i dati, si nota come ad esser colpite in maniera maggiore dal Covid sui posti lavoro siano state le donne: 426. Le denunce arrivate dagli uomini, invece, sono 226.


Nel dossier vengono analizzate anche le fasce d’età dei lavoratori che hanno preso il Covid sul lavoro. La maggior parte di questi, 294, sono persone che hanno dai 50 ai 64 anni. Subito dopo, ci sono i lavoratori che hanno un’età compresa tra i 35 ed i 49 anni, con 238 casi. Sul versante dei lavoratori fino a 34 anni, l’Inail ha registrato 106 denunce. Per gli over 64, 14 casi segnalati.


«Non dobbiamo assolutamente abbassare la guardia – commenta Legnante- perché, oltre a questi casi accertati, potrebbero essercene molti di più, pensando anche a quelli non denunciati». Per quanto riguarda i decessi, 3 di queste denunce in Provincia hanno poi avuto un esito mortale.

Nei contagi totali sul posto di lavoro in tutto il Lazio, oltretutto, il 6,8% arriva dalla Ciociaria. La percentuale di casi più alta spetta alla provincia di Roma, 78,9%, Latina, 7,3%, Frosinone, poi Viterbo, 4,2% e Rieti, 2,8%.


Le professioni


Il settore in cui si registra il maggior numero di denunce per aver contratto il Covid durante il lavoro, com’è immaginabile, è quello delle persone impegnate nella sanità. In particolar modo infermieri, medici, fisioterapisti, tecnici e operatori sanitari.

«Purtroppo – commenta Legnante- il fatto che siano stati denunciati maggiormente casi di operatori sanitari che hanno contratto il Covid al lavoro era prevedibile. Adesso, su questo, rientrano anche i ritardi nelle vaccinazioni. C’è necessità di arrivare presto ad un piano di intervento vaccinale che possa raggiungere più persone possibili, soprattutto quelle che rientrano tra le categorie a rischio. Nella prima ondata Covid- continua Legnante- non c’erano neanche i vaccini e questo, special modo per gli operatori sanitari, ha anche causato dei decessi».


Denunce, poi, arrivano anche dai altri settori, come quello legato al mondo industriale: «Questi sono lavoratori che non si sono mai fermati, anche in base all’attività lavorativa svolta. Nella prima fase della pandemia, hanno lavorato in condizioni molto diverse rispetto a quelle di oggi. Adesso, infatti, le aziende si sono organizzate maggiormente e non solo hanno predisposto procedure interne molto più rigide per contenere i contagi, ma alcune hanno anche stipulato delle convenzioni per fa sottoporre sistematicamente il proprio personale ai tamponi, per cercare di tenere sotto controllo i possibili contagiati ed evitare trasmissioni al lavoro. La prima fase che ci ha preso tutti impreparati. Oggi, invece, grazie all’organizzazione autonoma delle aziende e un clima di prevenzione si sta lavorando sulla strada giusta. Se questo sarà accompagnato da una capillare campagna di vaccinazione – conclude il segretario Cisl- si potrà vedere la luce in fondo al tunnel».

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