Fratelli Bianchi, la difesa choc: «I testimoni avevano bevuto. Giudici condizionati dalla stampa»

Il legale di Marco: «Lui è lo specchio della nostra società, non è diverso dagli altri»

Fratelli Bianchi, la difesa choc: «I testimoni erano ubriachi. Giudici condizionati dalla stampa»
di Valeria Di Corrado
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Domenica 11 Dicembre 2022, 07:32 - Ultimo aggiornamento: 07:39

Marco e Gabriele Bianchi, secondo i loro rispettivi difensori, vanno assolti dalla Corte d'Appello di Roma dall'accusa di aver ucciso Willy Monteiro Duarte a Colleferro, il 6 settembre del 2020, perché le testimonianze raccolte nel processo di primo grado sono ritenute contraddittorie e poco attendibili, e non c'è chiarezza su quale sia il colpo mortale. Nei motivi di impugnazione di entrambi i fratelli si legge tra le righe che le responsabilità del decesso, eventualmente, sarebbero da far ricadere sugli altri due imputati. Il 4 luglio scorso i Bianchi sono stati condannati all'ergastolo dalla Corte d'Assise di Frosinone, perché, in concorso con Mario Pinciarelli e Francesco Belleggia, avrebbero colpito il 21enne violentemente con pugni e calci al capo, al collo, al torace e all'addome, anche quando la vittima si trovava a terra, priva di sensi e non in grado di opporre difesa.
Secondo l'avvocato Vanina Zaru del foro di Firenze, difensore di Marco Bianchi, i giudici, «partendo da una convinzione assiomatica della responsabilità dell'imputato», hanno «estrapolato da ogni consulenza, da ogni dichiarazione testimoniale e da ogni altro contributo probatorio, solo ed esclusivamente i frammenti che andavano a dar contezza e ragione alla tesi accusatoria». Inoltre, riguardo i giovani testimoni, «un'indagine più accurata per comprendere chi e in che misura avesse quanto meno assunto alcolici, avrebbe probabilmente delineato lo scenario della reale attendibilità e della genuinità dei ricordi».

CACCIA AL MOSTRO

A peggiorare la situazione avrebbe contribuito, secondo il legale, «la versione offerta dalla stampa, che dal primo istante ha ingaggiato una vera caccia al mostro identificando Marco Bianchi come un soggetto pericoloso, perverso, violento». «Non è colto, ha gusti musicali di dubbio gusto, è calato in una realtà in cui è importante dare di sé - sui social - un'immagine di persona benestante e vincente, è rumoroso e per certi aspetti può apparire sgradevole.

Ma oltre ad essere lo specchio della società in cui viviamo e in cui stiamo facendo crescere i nostri figli, non appare diverso da molti altri giovani che cercano di imitare stili di vita fatui, non contrastati, peraltro, da una risposta adeguata culturale da parte di nessuno».

Anche secondo gli avvocati romani Ippolita Naso e Valerio Spigarelli, il processo di primo grado «ha avuto una vasta eco mediatica, da un lato con una abnorme ed illegittima pubblicità delle acquisizioni probatorie, d'altro lato con la mostrificazione di alcuni dei protagonisti, primo fra tutti l'imputato Gabriele Bianchi», che i due legali assistono. «Sotto la spinta di una formidabile pressione della pubblica opinione, le condizioni di parità sostanziale, e non solo formale, tra le parti, così come la terzietà e l'imparzialità dei giudici, sono venute meno». Secondo Naso e Spigarelli «la sentenza è fondata su di una lettura preconcetta, e comunque erronea, degli esiti probatori, favorita anche dalla mancata assunzione di una perizia medico legale disposta dal giudice». Gabriele Bianchi «non ha colpito la vittima e non ne ha cagionato la morte, intervenuta a causa di un colpo al collo che persino la sentenza non gli addebita», si legge nell'atto di appello. «Se il colpo al torace inferto con il primo calcio sferrato a Willy e attribuito a Gabriele avesse realmente determinato una commozione cardiaca, la vittima avrebbe perso istantaneamente coscienza, il suo cuore avrebbe smesso di battere e non si sarebbe potuto rialzare in piedi né camminare». Tra l'altro, secondo il collegio difensivo, «non è affatto un colpo proibito dalle arte marziali». Su questa linea anche l'avvocato Zaru: «nessuno ha descritto l'agire di Marco Bianchi come una sorta di killer armato dei propri arti». Insomma, «l'essere un atleta di Mma non lo rende una macchina da guerra».

«È assurdo parlare di processo mediatico, quando i familiari di Willy, con grande rigore intellettuale e modestia, non hanno mai partecipato in questi due anni a trasmissioni tv - commenta l'avvocato di parte civile Domenico Marzi - Sono le difese degli imputati che stanno facendo di tutto per farlo diventare un processo mediatico».

 

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