Morì per sfuggire ai suoi aggressori, ma non fu omicidio volontario. Si è chiusa nel cuore della notte, intorno alle 2, con la pronuncia della Cassazione, la vicenda processuale di Emanuele Morganti, il ventenne di Alatri, in provincia di Frosinone, morto il 26 marzo del 2017 nel corso di una rissa davanti ad un locale notturno. Per i tre imputati - Mario Castagnacci, Paolo Palmisani e Michel Fortuna - i giudici della Suprema Corte, dopo una lunghissima camera di consiglio, hanno confermato la condanna a 14 anni di reclusione, così come era stato stabilito in Appello. Respinti i ricorsi presentati dalla difesa e dalla parte civile. I tre, tornati liberi per scadenza dei termini di custodia cautelare, dovranno ritornare in carcere per scontare il resto della pena, circa 10 anni.
I giudici, in tutti e tre i gradi di giudizio, hanno concordato sul fatto che la morte del giovane non sia da ricondurre ad un omicidio volontario, come veniva sostenuto dall'accusa, ma a quello preterintenzionale.
Una ricostruzione confermata anche ieri dal procuratore generale Giovanni Di Leo, il quale ha usato parole molto forti per commentare la violenza di quella tragica notte consumatasi davanti all'indifferenza dei tanti altri giovani presenti: «Fu un'aggressione priva di ragione - ha detto il procuratore generale - Non si può individuare cosa possa aver portato a tutto questo se non una concezione della vita umana inesistente. Un episodio avvenuto in una piazza dove c’erano decine di persone che non hanno fatto nulla, salvo poche eccezioni per salvare Emanuele. Il massacro del ragazzo nella piazza - ha continuato il magistrato - è stato lo spettacolo della serata».
Il procuratore generale ha quindi sollecitato il rigetto del ricorso delle difese che avevano chiesto una derubricazione del reato a rissa aggravata dall'evento morte, ma anche di quello della parte civile che invece chiedeva la condanna per omicidio volontario. Il procuratore generale ha fatto proprie le conclusioni dei giudici di Corte d'Assise di primo grado e di Appello che, respingendo le tesi dell'accusa, hanno condannato i tre imputati per omicidio preterintenzionale. In primo grado la pena inflitta era stata di 16 anni, ridotta a 14 in Appello per le attenuanti. Pena quest'ultima ritenuta giusta anche dal procuratore generale. E così hanno concluso, al termine della lunga camera di Consiglio, anche i giudici della Suprema Corte. Ricorsi respinti.
Al momento Mario Castagnacci, Paolo Palmisani e Michel Fortuna, da circa un anno, sono tornati a piede libero per scadenza dei termini della custodia cautelare in carcere. Adesso però, con la sentenza passata in giudicato, per tutti e tre si apriranno di nuovo le porte della prigione per scontare il resto della pena, altri dieci anni.
Resterà libero è Franco Castagnacci, già assolto nei due gradi di giudizio per non aver commesso il fatto. L'uomo è stato trascinato davanti ai giudici della corte Suprema soltanto per quanto alcuni gli aspetti civilistici.
Nel collegio difensivo gli avvocati Bruno Giosuè Naso, Christian Alviani, Massimiliano Carbone , Angelo Bucci e Marilena Colagiacomo. Per la parte civile i legali Enrico Pavia e Pietro Polidori.
«Prendiamo atto della sentenza della Cassazione che ha confermato le condanne per gli imputati - dice l'avvocato Enrico Pavia legale di parte civile - Nell'impostazione iniziale si partiva da un'accusa più grave ma la pena definitiva per omicidio preterintenzionale è a 14 anni, il che dimostra il riconoscimento pieno della loro responsabilità».