Un isolano racconta l'inferno di Alzano e Nembro: «La notte non si dormiva per il rumore delle sirene»

Un isolano racconta l'inferno di Alzano e Nembro: «La notte non si dormiva per il rumore delle sirene»
di Gianpiero Pizzuti
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Sabato 13 Giugno 2020, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 15:14

Un isolano nella tormenta, nella zona Rossa tra Nembro ed Alzano Lombardo. Gianni Palombo, classe 1964, cresciuto tra i vicoli di Isola del Liri dove ha lasciato tanti amici, prima di trasferirsi in Lombardia nel 1990. Nel 1995 è entrato nel corpo di Polizia Locale di Alzano Lombardo, dove svolge regolarmente il suo lavoro, con passione e devozione.

Ieri per la prima volta è tornato in riva al Liri. Non era potuto scendere neanche per salutare suo padre Carlo, venuto a mancare il 7 aprile scorso a 92 anni. La sua storia con la pandemia è del tutto diversa da quella che abbiamo vissuto noi in città, loro in prima linea: «Con la mia famiglia abito a Nembro e lavoro ad Alzano Lombardo (nel cuore del focolaio) - racconta Gianni Palombo -. Non potete immaginare cosa è successo da noi. Vi sembrerà un paradosso, ma la notte non si dormiva per il rumore delle sirene e le luci dei lampeggianti, costanti, un moto perpetuo, incessante. Chissà a chi andranno a prendere? Ci domandavamo con le nostre facce stampate sui vetri delle finestre a guardare quel film dell’orrore».

Come è scoppiato tutto?
«All’inizio di gennaio l’unico che sollevò dubbi riguardo l’eccessiva mortalità fu il gestore delle pompe funebri di Nembro, il quale aveva constatato nella casa di riposo della cittadina che la media di un decesso a settimana, all’improvviso era salita ad uno al giorno, sino all’inizio di febbraio, dove i morti iniziavano ad essere tre al giorno».

Come ve la siete cavata?
«Ci siamo ammalati tutti. A Nembro siamo 12 mila abitanti tutti contagiati, compresa la mia famiglia io, mia moglie e le due figlie di 28 e 20 anni. C’è stato un momento che pensavamo che ormai era giunta la nostra ora, lo racconto con un velo di tristezza, perché gli ospedali non ci ricoveravano, i medici non sono mai venuti a visitarci non ci hanno voluto fare i tamponi, nonostante la richiesta sollecitata più volte e in questa situazione pensavamo che per noi tutto era compiuto».

Dove pensi di essere stato contagiato? 
«Credo di averlo contratto in ospedale ad Alzano Lombardo, perché durante il mio servizio era stato necessario un ricovero coatto e siamo rimasti a lungo nel nosocomio io ed il mio collega, ed entrambi siamo a distanza di qualche giorno siamo risultati positivi».



Parlavi di morti, tanti morti...

«Il 3% della popolazione di Nembro non ce l’ha fatta. I miei vicini di casa, in una famiglia sono morti 3 fratelli, in un’altra madre e figlia, a delle amiche delle mie figlie il padre e madre, non avete idea cosa sia successo. A Nembro nessuno è stato risparmiato l’impiegata dell’anagrafe, la bibliotecaria, alcuni medici di famiglia, negozianti, il tessuto sociale ed economico di un piccolo paese come il nostro devastato. Il 40% dei ricoverati della RSA del comune di Nembro sono morti. Il nostro comando di Polizia Locale conta 9 agenti, più due ausiliari. Due sono stati intubati, non sono ancora rientrati a lavoro da febbraio, gli altri tutti contagiati, chi in forma lieve, chi asintomatico. Pensate che i sacerdoti si sono tutti ammalati, tranne uno che non a caso si chiama don Matteo, che ha ricevuto la telefonata dal Papa».

Oggi che dichiarano Nembro ed Alzano Lombardo zona rossa cosa fate?
«Viviamo ancora con la mascherina per noi il peggio è passato, ormai abbiamo raggiunto l’immunità di gregge. Il moltiplicatore dei contagi è stato catastrofico rispetto a voi, questo è certo».

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