Coronavirus, dalla sassaiola contro i cinesi al pediatra "untore", boom di fake news in provincia di Frosinone

Il cartello contro il titolare della catena commerciale "Orizzonte"
di Pierfederico Pernarella
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Mercoledì 25 Marzo 2020, 09:59 - Ultimo aggiornamento: 10:06

In principio fu la sassaiola contro gli studenti cinesi, quando ancora gli pseudo untori erano gli altri, quelli che venivano da lontano. Poi l’epidemia si è fatta largo tra di noi e gli untori sono diventati il vicino di casa, il medico dei nostri figli, l’imprenditore della catena commerciale dove il giorno prima abbiamo fatto le compere, lo stimato professionista. Il virus delle fake news, anche in provincia di Frosinone, in queste settimane si è diffuso alla stessa velocità di quello vero.

Il buongiorno si era visto dal mattino, quando nessuno poteva o voleva immaginare che l’emergenza sanitaria sarebbe diventata quella che è diventata: una guerra. Erano gli inizi di febbraio, una pandemia fa. Il coronavirus, come avevamo cominciato ad imparare a chiamare quella pallina di golf piena di protuberanze, forse ci faceva paura, ma era ancora una minaccia esotica, lontana, come le immagini che provenivano da Wuhan. Che sembravano rapite dai film di fantascienza. Improvvisamente quelle immagini si sono materializzate sotto casa. Era il 31 gennaio, via Firenze, Frosinone: due infermieri del 118, protetti da scafandri, per prelevare una studentessa cinese dell'Accademia delle Belle Arti di Frosinone da poco tornata dal suo paese e colta da febbre alta.

Fu quello il primo di una lunga serie di casi sospetti. Allarmi sempre rientrati, ma intanto la paura cominciava a serpeggiare, subdolamente. Soprattutto per i tanti studenti cinesi che frequentano l'Accademia del capoluogo ciociaro e i quei giorni stavano facendo rientro in Italia dopo i festeggiamenti del Capodanno cinese. Tanto che la direttrice dell'istituto di arte e moda, Loredana Rea, si vide costretta a convocare una conferenza stampa per tranquillizzare tutti. Poi però accadde l'imprevedibile.

A margine dell'incontro con i giornalisti, un docente dell'Accademia, intervistato da un sito web d'informazione locale, disse che alcuni studenti cinesi, a Frosinone, erano stati oggetto di una sassaiola. Apriti cielo. La notizia in pochi minuti rimbalzò come una pallina impazzita sui social. Le agenzie seguirono a ruota, gli uffici stampa ci andarono a nozze, indignazione e solidarietà come se piovesse.

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Per un paio di ore divenne la principale notizia della giornata sulle home page dei giornali. Peccato che non fosse vera, come bastò appurare in pochi minuti chiamando la Questura. Si scoprì che la presunta sassaiola era spuntata fuori da quel gorgo impazzito che sono i gruppi di Whatsapp, la nuova frontiera delle fake news, quelle spifferate dall'amico fidato che si basano sull'algoritmo più antico del mondo, il pettegolezzo, anche se alla velocità di sua maestà “inoltra”.

E allo stesso modo, qualche settimana più avanti, si era diffusa la notizia che avevano prelevato e portato via, perché infettato dal coronavirus, il proprietario del negozio cinese del Giglio di Veroli, da tutti conosciuto come Antonio. Una bufala anche questa. Ci stavamo avvicinando ai giorni dell'epidemia, del paese chiuso in quarantena, in cui il virus delle fake news, una riedizione social, della più antica caccia all'untore, avrebbe cominciato a impestare i nostri pianerottoli di casa: non più lo straniero con gli occhi a mandorla, ma il vicino di casa. Meglio ancora se noto, il medico dei nostri bambini o il proprietario del negozio dove andiamo a fare la spesa.


IL PEDIATRA "UNTORE"
Ne sa qualcosa il dottor Serafino Pontone Gravaldi, uno dei pediatri più stimati di Sora, quarant'anni di lavoro alle spalle. Sabato scorso è stato chiamato dai figli che gli hanno chiesto a bruciapelo: «Papà, ma ti sei fatto il tampone, sei positivo?».

Il medico ci ha messo poco a capire cosa era successo, anche perché di lì a poco sarebbe stato subissato di chiamate e messaggi: sui social e in particolare attraverso un audio diffuso su whatsapp, partito non si sa da chi, era stata data la notizia che lui e altri medici (in alcuni casi effettivamente contagiati), tutti indicati con nome e cognome, erano risultati positivi al Covid-19. È scoppiato il panico, mamme preoccupate, parenti, amici, amici degli amici. Per due giorni il pediatra non ha fatto altro che rispondere, non sempre riuscendo a convincere gli interlocutori. E alla fine si è visto costretto a diffondere, anche attraverso il Comune, un messaggio in cui rassicurava tutti.

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«Quello che mi ha ferito – racconta il dottore – è che sia stata messa in dubbio la mia buona fede, la mia professionalità, che insomma anche chi mi conosce da anni abbia creduto alla possibilità che potessi aver omesso una cosa che può uccidere un'altra persona, i miei pazienti. Questa è l'accusa più grave che si possa fare ad un medico».

Gli audio su Whatsapp e i post su Facebook su questo o quell'altro contagiato sono diventati uno degli appuntamenti quotidiani del bollettino della paura. Si è perso ormai il conto delle vittime, vuoi perché la notizia è falsa, vuoi per la privacy violata quando è vera. I nomi dei veri o presunti “appestati” rimbalzano da uno smartphone all'altro, da una chat all'altra, in una catena di Sant'Antonio in cui diventa impossibile individuare l'inizio.

IL CASO "ORIZZONTE"
E spesso la psicosi del contagio si mischia anche a qualcos'altro, al rancore sociale, magari per chi ha fatto fortuna, per il ricco. C'è anche questo, inutile negarlo, nel linciaggio di cui è stato vittima Paolo Pagiaro, l'imprenditore di Terracina titolare della catena commerciale “Orizzonte” che ha punti vendita anche in provincia di Frosinone (nel capoluogo e a Ferentino). La notizia del suo contagio si è diffusa con un suo falso messaggio ai più stretti collaboratori in cui riferiva di essere risultato positivo. Poi gli audio allarmati di presunti o veri dipendenti che riferivano che lo stesso era stato in Cina e in settimana bianca e, anche da malato, con tosse e febbre, si era recato al lavoro, incurante del rischio contagio.

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Poi è arrivata la nota ufficiale dell'azienda in cui si smentiva quelle ricostruzioni, ma il danno ormai era fatto, la gogna era partita e il linciaggio si è materializzato con un cartello, messo davanti a uno dei suoi megastore, in cui gli si dava dell'untore e del pezzo di ….”. In un attimo si è tornati al Medioevo. A quelle scene viste nei film, in cui, improvvisamente, in mezzo alla folla, c'è qualcuno che grida: “E' lui l'untore, è lui l'untore”. E tutti gli corrono dietro per linciarlo.

Ma la risposta più bella, forse, l'ha data proprio l'imprenditore di “Orizzonte” a “Il Messaggero”: “Quei messaggi feriscono, ma me li aspettavo. Il mio vicino di letto è un signore anziano, in dialisi. Sta piangendo e pregando per la moglie che non può incontrare e che sta molto male. Con crisi respiratorie che forse tolgono ogni speranza. È questo il dolore e l’amore al tempo del Coronavirus. Tutto il resto conta poco».

 

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