«Energia dagli scarti alimentari, il biodigestore di Anagni un'opportunità per la Ciociaria»

L'amministratore delegato di Energia Anagni, l'ingegnere Simone Malvezzi.
di Pierfederico Pernarella
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Lunedì 11 Ottobre 2021, 07:37

Ci disfiamo degli scarti di cucina mettendo il sacchetto semplicemente fuori le porte delle nostre case, ma per essere smaltito quel sacchetto poi deve viaggiare per altri 700 chilometri. Questo perché in provincia di Frosinone e più in generale nel Centro Italia non ci sono impianti per la gestione della frazione organica e la soluzione più conveniente è stata trovata solo al Nord.

Ci sono però progetti per superare questo ritardo impiantistico. Il primo ad essere stato presentato interessa l'area industriale di Anagni. È quello della Energia Anagni srl, società partecipata dalla Saxa Gres, la Saf e la A2A. Sarà quest'ultima in particolare ad occuparsi della realizzazione e della gestione dell'impianto che dagli scarti delle nostre cucine e dagli sfalci di giardinaggio ricaverà sia biometano che ammendante da utilizzare come fertilizzante in agricoltura. Come funziona? Ci sono veramente rischi per l'ambiente come paventano associazioni e comitati? Lo abbiamo chiesto all'amministratore delegato di Energia Anagni, l'ingegnere Simone Malvezzi.

A che punto è il progetto?
«Ha superato la fase di valutazione d'impatto ambientale e oggi è in fase di rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale che poi permetterà la costruzione i cui tempi possono variare dai 18 ai 24 mesi».

A cosa serve un impianto come quello che intendete costruire ad Anagni?
«Nelle nostre raccolte differenziate la quota di rifiuti organici in termini di peso è quella più alta. Scarti mensa, cucine, sfalci organici da cui, attraverso processi naturali, è possibile recuperare biometano per sostituire il gas naturale che oggi importiamo dall'estero.

I prezzi del gas sono sempre più alti e fanno soffrire la nostra dipendenza. Recuperare gas da quello che avanziamo dalle cucine e dal giardinaggio è un vantaggio ambientale ed economico. Da questo recupero energetico, rimane una frazione, l'ammendante compostato misto, un fertilizzante che, dopo la certificazione di enti terzi, può essere utilizzato nell'agricoltura biologica».

Attualmente in provincia di Frosinone come viene gestita la frazione organica che proviene dalla raccolta differenziata?
«Tutto l'organico prodotto viene esportato in impianti del Nord Italia (Veneto e Lombardia) per essere trasformato in biometano e ammendante agricolo, con enormi problematiche di costi e anche di impatto ambientale. Paradossalmente ci si trova nella situazione in cui più si differenzia, più si paga. E dovrebbe essere il contrario. Ma questo è possibile solo costruendo impianti dove il rifiuto viene prodotto. Oggi gestire la frazione organica della provincia di Frosinone costa 170-180 euro a tonnellata: solo per i trasporto si paga tra i 45-60 euro a tonnellata. Costi che finiscono nella tariffa rifiuti pagata dai cittadini».

Come funziona un impianto di compostaggio per il recupero di biogas?
«Immaginate una bella cantina che fermenta. Con questo processo invece che del buon vino, viene inizialmente prodotto un buon biometano. Ciò che resta è un mosto che viene trasformato in compost per l'agricoltura. Il biometano, una volta depurato, viene immesso nella rete nazionale del gas naturale (Snam) dopo un'ulteriore raffinazione. Una piccola parte di questo gas rinnovabile viene utilizzata all'interno dell'impianto per produrre energia elettrica e termica».

La capacità dell'impianto non rischia di essere sovrastimata rispetto al fabbisogno della provincia di Frosinone?
«L'impianto può gestire fino a 84mila tonnellate: 24mila di verde e sfalci e circa 60mila di frazione organica. Attualmente in provincia di Frosinone, dove la differenziata è al 54%, vengono prodotte circa 40mila tonnellate di frazione organica, compresi gli sfalci di giardinaggio e agricoltura. Entro pochi anni si dovrebbe avere circa 70mila tonnellate. Si tratta di un impianto dimensionato per il territorio, che ne dovrà garantire la sua autosufficienza per i prossimi 20 anni».

Quale sarà la ricaduta occupazionale?
«Impianti di questo tipo hanno un impiego in fase di costruzione di 40-50 persone al giorno. L'investimento si aggira sui 30-35 milioni di euro. A regime l'impianto ha la necessità di avere dalle 15 alle 18 persone fisse per l'attività di gestione ordinaria, e una quota parte che possono ruotare per le manutenzioni».

I principali timori sono legati alle emissioni in un'area già compromessa sotto il profilo ambientale. Esistono davvero questi rischi?
«In primo luogo va detto che questo tipo di impianti sono gli unici di trattamento di rifiuti che possono essere realizzati su terreni agricoli. Si tratta di un capannone di medie dimensioni, che verrà ricoperto da pannelli fotovoltaici, senza camini. Tutte le fasi di lavorazione vengono gestite al chiuso, in aree in depressione. In depressione significa che ci sono dei grossi ventilatori e delle cappe che aspirano tutta l'aria dall'esterno. Aria che viene convogliata nei sistemi di trattamento composti da biofiltri. Le uniche emissioni generate sono di tipo naturale».

Può esserci il rischio di odori molesti?
«Questo rischio è scongiurato dall'adozione delle migliori tecnologie disponibili per le quali abbiamo una consolidata esperienza di gestione. Gli odori sono dei composti organici che noi percepiamo. Le arie aspirate vengono inviate a un biofiltro che è uno strato naturale, tipicamente di tipo legnoso, dove si sviluppano dei batteri che si nutrono di queste sostanze e quello che viene emesso dal biofiltro è senza odori».

E le polveri sottili?
«Per le emissioni di polveri sottili l'elemento a cui viene data maggiore attenzione riguarda l'uscita del cogeneratore per la produzione di energia elettrica e calore. Si tratta di emissioni del tutto ininfluenti sulla qualità dell'aria sia per la tipologia di combustibile utilizzato di tipo gassoso, come la maggior parte delle nostre caldaie, sia per le tecnologie di controllo della combustione adottate».
Però ci sarà un andirivieni di camion?
«L'impianto si trova in un'area industriale a cui si accede non transitando per il centro urbano. Per portare quei quantitativi serviranno al massimo una ventina di mezzi al giorno. E va anche considerato che oggi le stesse tonnellate di frazione prodotte in provincia stanno viaggiando sull'A1 per andare al Nord».

Il progetto vede la contrarietà di associazioni e comitati, cosa vi sentite di dire?
«L'impianto produrrà energia pulita da scarti alimentari e vegetali e materiale naturale necessario ad evitare l'impoverimento dei suoli. I rifiuti possono essere una miniera per il nostro Paese, povero di risorse naturali. All'anno in Italia si producono 30 milioni di tonnellate di rifiuti. Fare la raccolta differenziata non basta, anzi da sola, senza un adeguato recupero, rischia di essere solo onerosa per i cittadini e produrre inquinamento aggiuntivo. Noi siamo una società a maggioranza pubblica, nei territori in cui operiamo abbiamo dimostrato di saper trovare le soluzioni, ma non vogliamo imporre le nostre logiche. A noi interessa instaurare un dialogo costruttivo con le amministrazioni locali e con i cittadini. Per questo motivo avvieremo un percorso di condivisione con il territorio. Un modo per ascoltare e far capire quali sono i vantaggi tangibili».
 

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