Alatri, uno dei fermati all'interrogatorio: «Io non c'entro niente». Oggi il funerale di Emanuele

Alatri, uno dei fermati all'interrogatorio: «Io non c'entro niente». Oggi il funerale di Emanuele
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Venerdì 31 Marzo 2017, 13:10 - Ultimo aggiornamento: 1 Aprile, 10:28

Restano in carcere Mario Castagnacci e Paolo Palmisani, i due ragazzi fermati con l'accusa di omicidio volontario nei confronti di Emanuele Morganti, il 20enne pestato a morte la notte tra venerdì e sabato fuori da un locale di Alatri. Il gip del tribunale di Roma, Anna Maria Gavoni, ha convalidato il fermo questa mattina, al termine dell'interrogatorio di garanzia a Regina Coeli.

Un faccia a faccia durato non molto, il tempo per i due fermati di avvalersi della facoltà di non rispondere. Davanti al giudice del tribunale di Roma, dunque, hanno fatto scena muta, diversamente da quanto avvenuto ieri quando il procuratore capo di Frosinone, Giuseppe De Falco - titolare dell'inchiesta - ha interrogato i due giovani. Cinque ore di domande alle quali ha risposto solo Castagnacci, il cuoco già arrestato giovedì scorso per possesso di droga e rilasciato la mattina del venerdì, il giorno in cui si è consumato poi l'omicidio di Alatri.

 

 

«Sì, è vero, ero in piazza quella sera - avrebbe detto il giovane al magistrato - ma non ho preso parte al pestaggio». Parole che non convincono gli inquirenti, soprattutto se messe in relazione alle testimonianze raccolte che indicano in Castagnacci uno dei principali aggressori di Emanuele. Secondo gli investigatori sarebbe stato lui, assieme al fratellastro Paolo Palmisani, a sferrare i colpi mortali. L'ultimo, alla testa, è stato quello fatale, inferto - come ha stabilito l'autopsia - da un oggetto contundente, compatibile dunque con il manganello e il tubolare che vengono citati dai testimoni che hanno assistito al massacro. E sulla scarcerazione di Castagnacci, per la quale potrebbe essere aperta un'indagine al Csm, è intervenuta l'Anm stigmatizzando le dichiarazioni di alcuni politici che ieri chiedevano interventi del governo ritenendole «estremamente gravi e non condivisibili».

IL FRATELLO
Ieri, invece, centinaia di parenti e amici hanno dato il loro ultimo saluto ad Emanuele alla camera ardente allestita al Policlinico romano di Tor Vergata. «Chiediamo giustizia, non vendetta - ha detto Francesco, il fratello di Emanuele -. Era un angelo ed è inspiegabile come l'hanno ridotto. Solo Dio ci può dare una spiegazione». Oggi si ritroveranno tutti nella chiesa di Tecchiena, la frazione di Alatri dove viveva Emanuele, per abbracciare per l'ultima volta quell'«angelo che non c'è più».

«Vogliamo giustizia, è il minimo che possiamo chiedere - l'accorato appello dello zio -. Non è vero che conosceva i due fermati, sono convinto che hanno preso il primo che capita». «È una tragedia enorme - dice un amico con le lacrime agli occhi -, quella sera purtroppo non c'ero, ma è stato toccato il fondo». Intanto si muovono anche gli avvocati delle altre cinque persone indagate, tra cui anche il papà di Castagnacci.

Giampiero Vellucci, legale di due dei quattro buttafuori sotto inchiesta per rissa, spiega che «il manganello rinvenuto nell'auto di uno dei due non è stato usato», ed inoltre i suoi assistiti «non hanno mai impugnato corpi contundenti». «Il manganello che i carabinieri hanno trovato nella mia macchina con sopra scritto boia chi molla - racconta uno dei buttafuori a Chi l'ha visto? - lo portavo con me perché era un regalo di mio nonno. Ma quella sera non l'ho portato all'interno del locale e non l'ho usato né contro Emanuele né contro nessun'altro».

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