Venditti e De Gregori in concerto infiammano lo stadio Olimpico

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I primi passi al Folk Studio di Roma all'inizio degli anni Settanta, un disco insieme nel 1972, poi i dissapori, gli attriti, le scuse in musica, gli allontanamenti e di nuovo la vicinanza, le carriere parallele tornate solo da poco ad essere convergenti. Nemiciamici Antonello Venditti e Francesco De Gregori. Anzi, di più. «Dopo essersi interrotto, oggi il nostro rapporto si è compiuto. E ci possiamo mandare a quel paese da amici e non per interposta persona. Siamo fratelli, e la fratellanza non può interrompersi mai», dicono complici nel giorno in cui parte la loro prima tournee insieme in 50 anni di carriera. E il via non poteva non essere che dallo stadio Olimpico della loro Roma («martoriata? No, è bella a prescindere. Avrà i suoi problemi, ma sono superati dalla bellezza di vivere in questa città», afferma Antonello), davanti a 44mila spettatori, pronti a un viaggio in 5 decenni tra i successi di uno e dell'altro (venti dei 32 brani in scaletta - bis compresi - cantati a due voci). «Per la scaletta abbiamo abbiamo seguito una sceneggiatura - raccontano -, quella della nostra vita. 'Partirono in due ed erano abbastanzà, cantiamo in Bomba o non Bomba e siamo noi. L'obiettivo è fare festa: il nostro repertorio è il carburante, abbiamo portato le salsicce buone per fare barbecue». Il concerto, spiegano i due artisti con una complicità non comune, «è una unica grande canzone. È il concerto di uno, anche se siamo in due». A dividerli solo la visione di ciò che oggi rappresentano - loro cantautori di un altro mondo - nel panorama di una musica sempre più liquida e dominata da rap e trap. «Siamo dei sopravvissuti, ma auguro alle nuove generazioni di sopravvivere tra 50 anni come noi», è la posizione del Principe. «Ma quale sopravvissuto - replica piccato Antonello -: siamo un fiume in piena, mi sento creativo, con tanta voglia di fare anche più di prima». Il concerto, dicono convinti, «è unico. Senza riferimenti ad altri show, diverso da quelli cui siamo abituati dove tutto è già visto. Avessimo potuto non avremmo messo neanche i maxischermi. La quantità si vede, ma la qualità si sente». Il progetto prima di un concerto a Roma, poi di un tour a seguire, ha iniziato a prendere forma 4 anni fa, poi il rallentamento dovuto al covid.

 

«Ma i tempi sono giusti oggi. E lo dimostra anche l'interesse di chi sta comprando i biglietti ora. Quello che stiamo facendo è una cosa abnorme. E dissacrante, ma non siamo qui per dimostrare nulla se non per cantare per noi stessi e per il pubblico - spiega Venditti che racconta di sentirsi molto diverso dal Venditti del Circo Massimo dai 500mila spettatori a sera -. A nessuno dopo 50 anni è mai capitato di compiere quello che non aveva compiuto prima. Una cosa ben strana». «Strana, ma vera», sottolinea sornione De Gregori con quel tipico aplomb che negli anni gli ha consegnato il soprannome di Principe. È lui a smussare le intemperanze dell'amico, più verace e viscerale. In questi mesi di lavoro a stretto contatto si sono riscoperti. A livello personale, ma anche musicale. «Le canzoni dell'uno fanno parte della vita dell'altro. Come i successi. È inevitabile». Dal concerto hanno deciso di lasciar fuori la guerra. «Non posso ignorare che ci sono persone ce stanno morendo. La guerra è un fatto brutale, ma non ci deve essere per forza una canzone a parlarne, come non c'è bisogno di sventolare bandiere. È demagogia. Anche per questo abbiamo deciso di evitare qualsiasi immagine. Per esempio, Falcone e Borsellino non ci sono, ma ci sono. Non si può sempre fare attualità», spiega Venditti che poi, facendo riferimento alla serie su discovery+ « Venditti & De Gregori - Falegnami & Filosofi» si dice più «filosofo»: «oggi sono in grado di godermi ogni momento della mia vita. Non ho rimpianto, né rimorso. Sto qui e me la godo». Dopo Roma, il tour attraverserà l'Italia tutta l'estate (con una nuova data annunciata a Verona per il 5 ottobre).