Cina, proteste e striscioni contro Xi Jinping a poche ore dal congresso del partito comunista

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Cina - Pechino protesta e le autorità hanno rimosso alcuni striscioni di dura contestazione anche contro il presidente Xi Jinping a meno di tre giorni dall'apertura del XX Congresso nazionale del Partito comunista che dovrebbe affidargli un inedito terzo mandato alla segreteria generale del Pcc. La vicenda rappresenta un duro colpo alle rigide misure di sicurezza rafforzate nella capitale in previsione dell'importante evento che si aprirà domenica nella Grande sala del popolo. Ed è diventata virale sui social media, comparendo dapprima su account di cinesi residenti all'estero: sugli striscioni sistemati sul ponte di Sitong - un cavalcavia su un punto molto trafficato della terza circonvallazione di Pechino, nel distretto di Haidian - c'erano diversi slogan, tra cui un appello alla cacciata di Xi (definito un «traditore» della nazione) e alla fine delle misure draconiane di contenimento del Covid-19, come mostrano le molteplici immagini e i video postati su Twitter, oscurato in Cina. Sono state registrate anche le attività di intervento della polizia che avrebbe arrestato un uomo, a cui il tam tam sui social avrebbe anche dato un'identità. Forse un ingegnere sui 30-40 anni, autore di un lungo manifesto a favore di riforme democratiche. In un breve filmato, inoltre, c'era del fumo scuro provenire dalla carreggiata in corrispondenza del punto in cui erano appesi gli striscioni, come per attirare l'attenzione di autisti e passanti. L'area, nel nordovest della capitale cinese, è vicina a Zhongguancun, la zona universitaria che ospita il campus della prestigiosa Renmin University, nota per i suoi stretti legami con il Pcc. Sul luogo, l'ANSA ha potuto verificare in seguito un presidio rafforzato della polizia in tutta l'area, con diverse auto operative. «Non vogliamo test Covid, vogliamo mangiare; non vogliamo lockdown, vogliamo essere liberi», si leggeva su uno striscione. La politica 'zero Covid', sponsorizzata con forza da Xi, ha causato con blocchi totali e parziali gravi danni all'economia, alimentando una frustrazione diffusa nelle città cinesi. Anche a Pechino, dove i temi politici sono di solito tabù, da alcuni mesi - dopo il lockdown totale di aprile e maggio di Shanghai - è facile raccogliere sfoghi non sollecitati, anche da persone insospettabili. «Vogliamo voti, non leader; vogliamo la dignità, non le bugie; siamo cittadini, non schiavi», si leggeva su un altro striscione, collegabile alla svolta autoritaria impressa alla Repubblica popolare da Xi che potrebbe in teoria restare a vita al potere. Sui social in mandarino, a partire da Weibo (il Twitter cinese) le ricerche sul 'ponte di Sitong' non danno risultati, mentre in poche ore sono evaporati gli hashtag su 'distretto di Haidian', finiti nella censura del Great Firewall. '#Haidian# minuscola scintillà, ha scritto un utente di Weibo, alludendo al popolare detto rivoluzionario di Mao Zedong: «Una piccola scintilla può incendiare la prateria». Hu Xijin, seguito commentatore del tabloid ultranazionalista Global Times, ha postato su Twitter un messaggio sul tema dai toni ostentatamente rassicuranti: «La Cina è attualmente stabile, in particolare la sua capitale Pechino. A Pechino - ha rimarcato - non c'è insoddisfazione pubblica causata dal controllo della pandemia come in alcuni altri luoghi remoti della Cina».