Test sierologici, il ministero frena: non ci saranno patenti di immunità

Test sierologici, il ministero frena: non ci saranno patenti di immunità
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Giovedì 9 Aprile 2020, 06:43 - Ultimo aggiornamento: 09:28

Oggi non ci sono le condizioni per dire: le aziende che devono riaprire effettuano i test e conseguono una sorta di patente di immunità o negatività al coronavirus per i propri dipendenti che così possono tornare al lavoro. Al Ministero della Salute frenano con decisione. E Ranieri Guerra, direttore generale aggiunto dell'Organizzazione mondiale della Sanità, taglia corto: «Io credo che il ministro Speranza stia individuando la procedura per selezionare un test affidabile. Un test certo al 100% non esiste. Scordatevi che ci possa essere la patente di immunizzato, ci potrebbe essere al contrario la patente di non contagiato e quindi di vulnerabilità. Quindi chi è vulnerabile va protetto». Non la pensano ovunque allo stesso modo: ad esempio la Regione Toscana ipotizza, per chi tornerà al lavoro, il passaggio preventivo del test sierologico. Anche il Veneto, è ormai noto, va in quella direzione.

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LA CAMPAGNA
Ma allora di cosa si parla quando in Italia, a partire dal Comitato tecnico scientifico che affianca il governo in queste emergenza, si annuncia una campagna di verifica massiccia tra la popolazione? Dall'Istituto superiore di sanità hanno spiegato che è in corso la validazione di un tipo di test affidabile, che ci dica se una persona ha sviluppato gli anticorpi (IgM o IgG, nel primo caso l'infezione potrebbe essere ancora in corso, nel secondo è stata superata e il paziente è immunizzato, ma non sappiamo per quanto tempo). Il piano, che partirà a maggio, serve a fotografare il Paese, a capire se davvero gli asintomatici positivi che non abbiamo intercettato siano molti di più di quelli che appaiono nei numeri ufficiali. Diversi studi dicono che è probabile: anche solo limitandosi a osservare il tasso di letalità che in Italia è al 12,3 per cento e in Lombardia sopra il 17, dunque molto più alto di quello registrato in altre nazioni, è lecito ipotizzare un numero di positivi (o ex positivi) differente da quello ufficiale.

Eppure, dalle notizie che arrivano in quelle regioni dove, in maniera autonoma, i test sierologici sono cominciati, l'esito dice altro: a Nerola, ad esempio, piccolo comune della provincia di Roma, si stanno facendo sia i tamponi sia i test sierologici alla popolazione e ad oggi la percentuale di positivi appare bassa, attorno al 2 per cento. In Toscana, nelle Rsa, la percentuale arriva al 5 per cento, ma parliamo di luoghi particolari con molti anziani. Per questo la scelta del campione di popolazione da valutare dovrà essere svolta con estrema attenzione: si punterà sulle categorie a rischio, ma anche su settori in prima linea, come operatori sanitari e servizi al contatto con il pubblico. Quanti test saranno eseguiti? «Nel Lazio - dice l'assessore alla Sanità, Alessio D'Amato - contiamo di svolgerne circa 200mila». Se le proporzioni sono quelle, su scala nazionale si potrebbe arrivare anche a un milione, fermo restando che non bisogna confondere ciò che stanno facendo le regioni con lo screening sugli italiani sul quale stanno lavorando l'Istituto superiore di sanità e il governo.

Secondo gli esperti, potremmo avere esiti differenti da regione a regione, con dati altissimi in Lombardia, molto più bassi al sud. Racconta il professor Pierluigi Lopalco, epidemiologo dell'Università di Pisa e consulente per la Regione Puglia: «Per prevedere quanto deve essere ampio il campione, devo anche ipotizzare quanti positivi troverò. Mi spiego: se mi aspetto di trovarne l'1 per cento, il campione deve essere molto grande, se mi aspetto il 50, è sufficiente uno più piccolo. Non mi aspetto risultati rilevanti, se non in quelle regioni in cui il virus è circolato molto. In Puglia abbiamo cominciato a fare i test sierologici in un ospedale, su 500 operatori sanitari solo l'1 per cento aveva gli anticorpi. Non credo che avremo risultati che ci daranno indicazioni chiare sulle riaperture».
 

 
 
 

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