Il sabato della resa di Berlusconi ha due facce: l’arrabbiatura sua, che credeva fortissimamente all’auto-candidatura («I numeri li ho ma evidentemente non vengo creduto», ha ribadito ieri) e il sollievo dei suoi alleati che non credevano più o non hanno mai creduto nella corsa di Silvio. Il quale come massimo sfregio verso Salvini e Meloni - ora tutti lanciati nei ringraziamenti per il senso di «unità», di «responsabilità» e di «lungimiranza» dell’anziano patriarca - neanche s’è presentato al summit su Zoom del centrodestra e al suo posto ha mandato la Ronzulli a leggere un comunicato. Uno schiaffo agli alleati del tipo: non mi volete candidato e io mollo senza darvi la soddisfazione né di farmi vedere né di farmi infilzare pubblicamente da voi. E come macigno lanciato contro «i due ragazzini», Silvio e Giorgia, che non attacca apertis verbis ma da cui è assai deluso («Devono ancora imparare che cos’è la politica»), piazza sulla loro road map quirinalizia un no grande come tutto l’impero berlusconiano all’opzione Draghi. Che loro potrebbero accarezzare (Meloni: «Non dico no a Draghi, dico solo che voglio le elezioni») ma il niet di Berlusconi a questa eventuale opzione non sarà facile da gestire da parte dei leader di Lega e FdI.
Quirinale, Salvini: «Da Berlusconi grande servizio all'Italia, ora centrodestra farà sue proposte»
L’INVISIBILE
Fuori dal monitor Berlusconi anche nella riunione Zoom del primo pomeriggio con big e ministri forzisti.
PALLOTTOLIERE
Ma lui che non voleva ritirarsi fino alla fine, prima di sparire («Non è che sta male?», è il dubbio di tanti che gli vogliono bene e notano che ha rinunciato ad andare anche al Parlamento europeo per la successione a Sassoli) continuava a dire: «Oltre ai 450 voti del centrodestra ne ho raccolti altri 50. Arrivare da 490 a 505, nella quarta votazione e senza giganti in campo o almeno io di colossi non ne vedo nessuno, è un gioco facile». Il gioco a cui Salvini e Meloni non hanno creduto. Ma giura uno degli uomini più vicini e fedeli al leader azzurro: «Il problema di Berlusconi non sono stati in questa vicenda Salvini e Meloni, ma il fatto che il Presidente ha visto l’Italia tornare indietro alla stagione del più orrendo anti-berlusconismo. Ha tenuto di spaccare il Paese che è proprio quello che non vuole». Una cautela che, tra le varie altre, gli ha suggerito Gianni Letta e ancora una volta Berlusconi si è fidato del consigliere più prudente e leale. Non sbagliando.
E intanto è riuscito a tenere il Paese per un mese appeso alla sua persona. Ma non solo. Con il passo indietro ha dato altro spazio a se stesso, e il no a Draghi (che però a questo punto potrà dire: non c’è più la maggioranza di governo che mi sostiene e ciaone) ha fermato le manovre di Salvini e di Meloni che potevano virare su SuperMario e soprattutto senza Berlusconi al centro la sinistra si disunisce avendo come unico collante l’anti-berlusconismo e insomma il ritiro del Cavaliere ha portato scompiglio nel cosiddetto «campo largo» rossogiallo perché offre una sponda a Conte che Draghi non lo vuole proprio a differenza di Renzi. Silvio del resto anche quando perde non perde mai del tutto.