Sondaggi politici, indecisi e astenuti: quanti sono e come potrebbero impattare sul voto

Per i sondaggisti la percentuale di indecisi potrebbe impattare sulla classifica delle prossime elezioni, ma non mette in dubbio l'esito

Sondaggi politici, indecisi e astenuti: quanti sono e come potrebbero impattare sul voto
di Fausto Caruso
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Martedì 20 Settembre 2022, 17:23 - Ultimo aggiornamento: 17:47

«Puntiamo al 40% di indecisi». Enrico Letta si gioca tutto su quella parte di popolazione che non ha ancora deciso per chi votare o pensa di non andarci affatto. Gli ultimi sondaggi davano tale quota ben oltre il 30%, più di qualunque forza politica in corsa. Se la maggior parte di queste persone si chiarisse le idee entro la sera del 25 settembre i pronostici della vigilia potrebbero finire per non contare più nulla. Se invece permanesse l'immobilismo, saremmo davanti alla più alta percentuale di astenuti della storia della Repubblica.

Il significato di indecisione e astensionismo

È davvero plausibile che alle prossime elezioni si registri un’affluenza sotto al 70%? «Non lo possiamo escludere», commenta Enzo Risso dell’istituto di ricerca Ipsos. «C’è una quota crescente di elettori che decide se e cosa votare soltanto all’ultimo momento». Proprio la categoria di elettori che il segretario del Partito Democratico Letta intende portare dalla propria parte, ma secondo il sondaggista è meglio non farsi illusioni. «Abbiamo una percentuale ormai sedimentata del 20% che stabilmente non va più a votare per diversi motivi: disaffezione alla politica, delusione verso il partito di riferimento o la sensazione che a prescindere dal risultato poi in parlamento si accorderanno come conviene». La quota recuperabile si attesterebbe perciò a non più del 10-12%. «Potrebbe impattare sulla classifica, non sul risultato, ribaltare le posizioni di partiti che si trovano a uno o due punti di distanza, ma il vantaggio complessivo del centrodestra è troppo grande per essere colmato».

Per lo stesso motivo, Risso non teme che l’eventuale bassa affluenza possa in qualche modo delegittimare il futuro governo. «Premesso che in democrazia vince chi prende lo 0,1% in più, una bassa affluenza potrebbe delegittimare in parte un governo con maggioranza risicata, non uno con un distacco netto». Poi un commento sulle implicazioni dell’affluenza per chi uscirà sconfitto: «Non è detto che chi non va a votare non abbia voluto votare per la coalizione di governo: potrebbe anche essere che i partiti di opposizione non abbiano saputo toccare i tasti giusti per convincerli».

«Certo che una percentuale così alta può impattare», commenta Lorenzo Pregliasco di Youtrend. «Anche il 10-15% di indecisi significa 4 milioni di persone: quello che è improbabile è che vadano tutti nella stessa direzione, ma questo lo sapremo con certezza solo la sera del voto». Sul possibile dato dell'astensione aggiunge: «Alle scorse elezioni non andò a votare il 27% degli elettori e quest'anno la prevediamo in crescita quindi è possibile che vada oltre il 30%».

Lo storico dell’affluenza: i numeri

Storicamente le elezioni politiche in Italia sono state sempre molto partecipate. Quelle del 1948, le prime a suffragio universale dopo vent’anni di dittatura fascista che la DC stravinse con il 48,5%, videro recarsi alle urne il 92% della popolazione. Nelle successive due tornate, 1953 e 1958, si toccò addirittura il record del 94% di affluenza. Per vedere il dato abbassarsi sotto al 90% bisogna aspettare il 1983, il voto che vide Bettino Craxi diventare il primo premier socialista della storia d’Italia e che si tenne dopo le rivelazioni sulla loggia massonica P2 di Licio Gelli, in cui risultarono imputati diversi politici di varie aree.

L’affluenza si mantenne stabile fino all’inizio degli anni Novanta, quando cominciò un lieve calo che portò il dato all’82% del 2001. Dopo la risalita di un punto alle successive elezioni, il trend discendente riprese in maniera più decisa, fino ad arrivare al 75% del 2013 e al record negativo del 73% registrato alle ultime politiche. Record che rischia seriamente di essere battuto dalle prime elezioni autunnali della nostra storia.

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Guardando all’estero, se nel 2001 eravamo ancora quello tra i principali paesi europei in cui si votava di più, oggi il nostro dato è simile o leggermente inferiore a quelli di Francia (74% alle presidenziali 2022) e Germania (77% alle politiche 2021). Ancora sotto il Regno Unito con il 67%, che però nel 2001 era arrivato al 59%.

L’affluenza nelle regioni

Nel corso degli anni il dato sull’affluenza si è sempre distinto su base geografica. In media al Nord e al Centro si vota più che al Sud, ma se nel 1948 l’affluenza media nel Mezzogiorno si attestava al 98% del dato nazionale, il divario si è allargato fino al 92% delle ultime elezioni. Per quanto riguarda le regioni, quella in cui in media si vota di più è l’Emilia Romagna, seguita da Lombardia, Toscana e Veneto. Al contrario la Calabria è quella con l’affluenza minore; poco sopra Molise, Sicilia e Campania.

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