Pd, Enrico Letta lascia: «Non mi ricandiderò al prossimo congresso, campo largo era l'unico modo per battere la destra»

L'addio del segretario del Pd, Enrico Letta, in conferenza stampa al Nazareno

Enrico Letta al Nazareno con i vertici del Partito: cosa succede ora nel Pd
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Lunedì 26 Settembre 2022, 11:32 - Ultimo aggiornamento: 20:21

 Enrico Letta ha aperto la strada al dopo Enrico Letta. Il Pd al 19% e il centrodestra a quasi il 44% hanno rappresentato una sconfitta netta. Così, a risultato definitivo, il segretario dem ha dato l'annuncio: «Acceleriamo il percorso che porterà al congresso. Io non mi presenterò da candidato». Calendario alla mano, la decisione di Letta dovrebbe anticipare l'appuntamento di un mesetto: quindi a febbraio invece che a marzo. Fino a quel momento, Letta resterà alla guida del partito, da traghettatore. Sarà «un congresso di profonda riflessione, sul concetto di un nuovo Pd», ha detto Letta. 

 

La conferenza stampa

Il segretario Pd si è presentato da solo in sala stampa al Nazareno: «Gli italiani e le italiane hanno scelto - ha detto - Una scelta chiara e netta: l'Italia avrà un governo di destra.

Oggi è un giorno triste per l'Italia e l'Europa». Dopo l'annuncio del passo indietro, è scattato il totonomi per la successione. Non ci sono ancora candidature ufficiali. Ma vengono dati per papabili il governatore dell'Emilia Romagna Stefano Bonaccini, la sua vice Elly Schlein, il vicesegretario del Pd Peppe Provenzano. Si è fatto il nome del sindaco di Bari e presidente Anci Antonio Decaro. Mentre il primo cittadino di Pesaro e coordinatore dei sindaci Pd, Matteo Ricci, ha già fatto sapere ai suoi che intende essere della partita. E fra i commenti più forti, non è passato inosservato quello di Andrea Orlando: «Siamo di fronte a una sconfitta durissima. Va ricostruita la sinistra». 

 

Il congresso

Il cambio di guardia è la conseguenza di un risultato che Letta ha definito «insoddisfacente». Il segretario Pd ha comunque rivendicato la strategia iniziale: «I numeri - ha spiegato - dimostrano che l'unico modo per battere la destra sarebbe stato il campo largo, non è stato possibile non per nostra responsabilità». La stoccata è arrivata al Terzo polo: «C'è stato da parte di alcune forze politiche il tentativo di sostituirci e metterci da parte». E poi: quello di Azione è stato «fuoco amico». Ma Letta è stato duro anche col M5s: «Il fatto che Meloni sia a Palazzo Chigi è figlio della scelta di Conte di far cadere Draghi» che, a cascata, ha provocato la rottura del patto col Pd. Per Giuseppe Conte, però, «Letta è solo alla ricerca di capi espiatori a cui addossare la responsabilità». La ripresa del dialogo ora appare una strada obbligata: «Sarebbe l'ultimo regalo da fare alla destra se le opposizioni andassero in ordine sparso - ha spiegato Letta - è molto importante che si riprendano le fila di relazione che consentano di fare una opposizione efficace». Conte non ha chiuso: «Ho già detto che non ci sarà dialogo con questo gruppo dirigente: ma la questione non è personale. I punti sono politici. Bisogna vedere quale Pd verrà fuori» dal congresso. Il Pd comunque è pronto a fare «una opposizione dura e intransigente», ha assicurato Letta. Il percorso del congresso dovrebbe entrare nel vivo a governo insediato. Fra i big del partito ci sarebbe anche un accordo di non belligeranza fino alla formazione degli assetti parlamentari: capigruppo, vicepresidenze delle Camere. Poi la partita dovrebbe entrare nel vivo. 

Per la vicepresidente del Pd, Debora Serracchiani, il congresso «deve essere la ricostruzione collettiva del partito». Ma intanto si parla di nomi. Rimbalza quello di Bonaccini. Piacerebbe a base riformista, la corrente guidata da Lorenzo Guerini: «Bene ha fatto Letta ad indicare la strada verso il Congresso», è il messaggio. Ma il governatore difficilmente sarà disposto a essere della partita se non avrà un appoggio trasversale e largo. Anche di Elly Schlein si parla con insistenza (non è iscritta al Pd, ma non è un ostacolo insormontabile). Ma sarebbe singolare se in corsa ci fossero i numeri uno e due della stessa Regione. «Non è il momento di ripartire con una discussione che parta dai nomi e dai cognomi anziché dai contenuti», ha tagliato corto Bonaccini. Tutto dipenderà dalla partita a scacchi fra le anime più rappresentative del partito. Oltre a quelle che fanno riferimento a Orlando e Guerini, anche quella che guarda a Dario Franceschini. E gran parte del dibattito verterà sulle alleanze: «Il problema non era il campo largo - ha detto Nicola Zingaretti - Ma non averlo avuto. Divisi si perde tutti. Organizziamoci come ha indicato ancora oggi Enrico Letta, per i prossimi appuntamenti, a cominciare dalle prossime amministrative e Regionali».

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