Calenda dice no alla bicamerale: «È più facile che io arrivi su Marte»

Per il leader di Azione la proposta è valida ma «il rischio di finire nel nulla è elevato»

Calenda dice no alla bicamerale: «È più facile che io arrivi su Marte»
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Venerdì 9 Settembre 2022, 09:46 - Ultimo aggiornamento: 10:49

Se i calcoli della Nasa (e di Carlo Calenda) sono giusti potrebbero servire solo 16 anni perché la Commissione bicamerale per riformare la Costituzione in senso presidenzialista evocata da Giorgia Meloni funzioni. Comunque molto meno di quanto impiegarono la Commissione Bozzi e quella De Mita-Iotti che, a cavallo tra gli anni 80 e 90, si riunirono ininterrottamente e senza risultati per 12 e 18 mesi. L'alternativa è che lo stesso Calenda indossi la tuta da astronauta.

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Dandosi al bersanismo narrativo spinto infatti, ieri il leader di Italia sul serio per smontare la proposta di Fratelli d'Italia per «la madre di tutte le riforme» ha attinto ad una metafora spaziale: «Ci sono più possibilità che io arrivi su Marte con la prossima navicella che la commissione Bicamerale faccia il presidenzialismo».

Del resto che Calenda non credesse che l'obiettivo meloniano possa essere raggiunto con una Bicamerale non lo ha mai nascosto. «Mi sembra una buona soluzione per discutere di riforme costituzionali - ha cinguettato mercoledì - Dopodiché, purtroppo, il rischio di finire nel nulla è molto elevato e il paese avrà ben altre emergenze da affrontare».


Quello della riforma quirinalizia però è un tema che appassiona i leader e ieri ha causato l'ennesimo batti e ribatti Enrico Letta e la leader del centrodestra. Per il segretario Pd, Meloni spinge sul presidenzialismo per ottenere «i pieni poteri» perché - ha spiegato in un'intervista - «il vero obiettivo della destra è mandare a casa Sergio Mattarella». Uscendo un attimo dalla «modalità monaco tibetano» dove era entrata per «non rispondere alle provocazioni», Meloni allora si sente in dovere di ribattere: «Sono allarmismi che non hanno senso, non andiamo ad asfaltare le istituzioni». Lo sbocco al Quirinale rappresenta l'ennesima tappa di un duello sempre più duro, transitato anche dall'allarme per la democrazia lanciato dal dem. «Non ci sono pericoli fascisti né comunisti - gli risponde Matteo Salvini - Se vincesse Letta, non succede, ma se succedesse nessuno griderebbe allarme arrivano i sovietici». E anche per il sodale calendiano Matteo Renzi, «l'allarme non c'è». Letta - spiegano però dal Nazareno - non si riferisce al rischio di un colpo di Stato ma al fatto che, con questa Legge elettorale, la destra potrebbe ottenere seggi a sufficienza per cambiare da sola la Costituzione e chiedere a Mattarella di farsi da parte, «come fece capire un lapsus rivelatore di Silvio Berlusconi».


LA CAMPAGNA ELETTORALE
Una diatriba che evidentemente non appassiona invece lo stesso Calenda che ieri, ospite di Confcommercio, ne ha approfittato per attaccare tutti e lanciare nuovamente il suo invito a fermare la campagna elettorale: «Questa campagna è diventata demenziale, tra Letta che parla di allarme democratico al mattino e di non allarme democratico al pomeriggio, Meloni che propone la bicamerale. Qui stanno chiudendo tutte le imprese, noi rischiamo di avere recessione e un milione di persone per strada. Ripeto quello che dico da venti giorni: bisogna fermare la campagna elettorale, vedersi domattina e aiutare Draghi a prendere un provvedimento che Draghi deve prendere immediatamente».


Un invito a fare presto sposato anche dalle ministre di Azione e Iv. Ieri infatti Elena Bonetti, Mara Carfagna e Mariastella Gelmini si sono fatte portavoce dell'indignazione del Terzo polo per l'ostruzionismo fatto in Aula dal M5S sul Decreto Aiuti di luglio (ora calendarizzato per il 13 al Senato). «Questo atteggiamento irresponsabile tiene in ostaggio le imprese esponendole al rischio di chiusura e danneggia pesantemente la vita delle famiglie e dell'intero Paese».
 

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