Pontida, Bossi resta a casa e festeggia il compleanno con il figlio. Gli 81 del "Senatùr", «sempre col sigaro»

Il fondatore non si presenta sul "sacro" pratone. Salvini lo omaggia, "a te dobbiamo tutto"

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di Francesco Bechis
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Domenica 18 Settembre 2022, 17:43 - Ultimo aggiornamento: 17:56

L'attesa è stata febbrile, fino all'ultimo. Perché il popolo di Pontida, a Umberto Bossi, deve tutto. Ma il Senatùr e fondatore della Lega, alla fine, non si è presentato. Sul "sacro" pratone che oggi ha riunito il popolo verde nel bergamasco - prima volta dal 2019, quando la tradizionale adunata leghista è stata interrotta a causa della pandemia - è stata l'assenza più rumorosa

«Se siamo qui lo dobbiamo a te», ha detto il segretario del Carroccio Matteo Salvini dal palco, accolto da un fragoroso applauso. Bossi è rimasto a casa a festeggiare i suoi 81 anni, che compirà domani, per la prima volta lontano da Pontida, nella sua Gemonio. 

A confermare l'indiscrezione, in mattinata, è il figlio Renzo che affida ai social una foto insieme al padre. «Quasi 81 e sempre con il sigaro. Un giorno per la famiglia, per gli affetti. In questi anni tanta gente cara, tante battaglie e quelle importanti sempre nel cuore». Nello scatto padre e figlio sono sul divano, Bossi senior sorride.

«Per me è una giornata di festa. C'è un grande uomo, grazie al quale siamo qua. Chi non ha memoria non ha futuro», l'omaggio di Salvini da Pontida. «Oggi non c'è perché a casa a festeggiare il compleanno in famiglia. Sempre grazie, onore e forza a Umberto Bossi. Siamo qua grazie a te, per te, e andremo molto lontano grazie al tuo esempio». Durante l'arringa di fronte al "popolo del pratone", il "Capitano" chiama in causa più volte il padre nobile. «Me lo ha insegnato Bossi, non mi interessa governare per governare», dice ad esempio con lo sguardo rivolto a Palazzo Chigi e a una coabitazione con gli alleati di centrodestra che non si preannuncia facile. 

Ma al Senatùr rivolgono un pensiero quasi tutti i colonnelli leghisti. Dopotutto, chi prima chi dopo, sono cresciuti nel mito del fondatore e diversi di loro hanno militato e fatto politica con la Lega quando Bossi era ancora segretario. «Grazie Umberto! Non possiamo dimenticare che la battaglia della Lega iniziò qui tanti anni fa con gente comune e stanca di pagare senza che lo Stato intervenisse mai con un aiuto, gente onesta e che produceva», il commento di Lorenzo Fontana, vicesegretario federale, dal palco in mezzo al prato. 

Sono trascorsi più di trent'anni da quando Bossi ha chiamato per la prima volta a raccolta il popolo leghista: era il 25 marzo 1990.

Poi, due mesi dopo, il primo giuramento di circa 800 consiglieri comunali e regionali eletti con la Lega. Ma la storia di Pontida, ufficialmente, inizia quattro anni dopo, nel 1994, ai tempi del primo governo Berlusconi. 

Terreno di incontro, Pontida, ma anche di scontro. Da quel pratone Bossi ha fatto tuonare nella vallata la sua voce tanto contro nemici quanto contro gli alleati. All'insegna, soprattutto, di una battaglia, il federalismo, che è al cuore della proposta leghista. E contro, diceva Bossi all'allora premier Silvio Berlusconi e a Giancarlo Fini a inizio anni 2000, quel «centralismo romano e i partiti che lo sostengono». 

Ruggini che possono tornare, sotto altre spoglie. Perché se il federalismo alla Bossi non è più nell'agenda Salvini, l'autonomia è in cima alla lista, va ripetendo il segretario, complice il pressing senza sosta dei governatori del Nord, da Luca Zaia a Massimiliano Fedriga. Una priorità che bisognerà conciliare con la riforma bandiera di FdI, quel presidenzialismo di cui Giorgia Meloni ha fatto un vessillo e che non sarà facile conciliare con le proposte leghiste.

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