Vittorio Parsi
Vittorio Parsi

Il ruolo dell’Europa/ Svolta possibile se si supera il vecchio asse franco-tedesco

di Vittorio Parsi
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Lunedì 20 Gennaio 2020, 00:01
La Conferenza di Berlino non rappresenta sicuramente il punto di arrivo della crisi libica, ma non è detto che costituisca neppure l’auspicato punto di svolta. Di certo è il massimo che questa divisa e distratta Europa poteva mettere in campo finora, anche se potrebbe non essere abbastanza. Su questo ha ragione il premier Serraj, il leader del governo riconosciuto dall’Onu e dalla Ue: l’Europa si è mossa disunita e in ritardo, e il vuoto è stato riempito dal protagonismo turco.

Ancora una volta è stato confermato che se Parigi e Berlino non si allineano sulla stessa lunghezza d’onda e non sono propositive l’azione esterna dell’Unione Europea risulta paralizzata, persino quando le crisi divampano prolungate, gravi e insidiose sull’uscio di casa. La drammaticità cui è giunta la situazione libica attesta altresì che il direttorio franco-tedesco è ormai pericolosamente insufficiente per l’individuazione e la realizzazione di una politica estera e di sicurezza comune. 

Berlino è stata di fatto “ipnotizzata” dalla sua relazione, sempre più tormentata e cruciale con Ankara, mentre Parigi ha riversato su tutti i Paesi euromediterranei (Italia in primis) il fallimento delle sue anacronistiche ambizioni egemoniche.
Ambizioni egemoniche già causa della disastrosa guerra del 2011 e rinfocolate dal rapido ridimensionamento del peso e del prestigio francesi in Africa centrale, ad opera di Mosca e Pechino.

Il paradosso è che, affinché l’Europa possa svolgere un ruolo in questa crisi, e non doversi ritrovare a gestire le conseguenze delle scelte altrui, occorre simultaneamente che Francia e Germania si muovano in direzione opposta: la prima smettendo di pensare che nel Mediterraneo la politica dell’Unione rappresenti sostanzialmente una protesi di quella francese; la seconda cessando di delegare a Parigi la strategia mediterranea dell’Unione.

Tutto ciò non richiede pubbliche autocritiche o clamorose prese di distanza e può ben essere presentato come «un deciso passo in avanti da parte di tutti e non un passo indietro da parte di alcuno», come ha sostenuto il premier Giuseppe Conte. Ma resta il fatto che senza l’effettivo superamento della logica del direttivo franco-tedesco sarà impossibile per la Ue uscire dalla marginalità che la contraddistingue.

Rimane comunque il nodo delle due fazioni libiche, le quali appaiono entrambe riottose a conformarsi alle pressioni esterne. Di entrambe sarà opportuno smetterla di considerarle come semplici proxies delle potenze esterne o di quelle regionali. Sia Serraj che Haftar sono leader di coalizioni domestiche, alle quale devono comunque rendere conto e che hanno fin qui fornito, e continueranno a fornire, gran parte delle truppe combattenti sul terreno. Il “disarmo delle milizie” implica per loro la sostanziale liquidazione dei propri alleati e il licenziamento di manodopera che non ha alternative “occupazionali”. 

Non solo. Bisogna pure ricordare che, se attuato con rudezza e al di fuori di un graduale e controllato processo di condivisione politica che coinvolga i due soli protagonisti libici convocati a Berlino, il passaggio pur necessario del disarmo potrebbe provocare una nuova frammentazione del panorama politico-militare della Libia, con il rischio di una ripresa di vigore di interessi “frazionali” fin qui tutto sommato compressi dalle logiche di coalizione, inclusi quelli di organizzazioni di stampo più marcatamente jahdiste e terroristiche, che sono presenti tanto nel campo dell’uno quanto dell’altro schieramento. Il dialogo con Serraj e Haftar e la loro adesione a qualsivoglia roadmap resta quindi vitale e inaggirabile, pur nella consapevolezza che l’inimicizia tra Egitto (storico leader del nazionalismo arabo) e Turchia è strutturale e destinata a giocare un ruolo crescente dal Nordafrica al Mar Rosso.

Se queste condizioni verranno soddisfatte potremo evitare tanto l’implosione della Libia, quanto la vittoria totale sul campo di un attore e dei suoi protettori esterni, quanto la spartizione del paese in due sfere di influenza sotto il controllo esclusivo di Ankara e Mosca. È soprattutto di fronte a quest’ultima prospettiva, in realtà, che l’Europa si è mossa, tentando di accantonare, se non superare, indugi e rivalità interne. A testimonianza, ancora una volta, che le crisi e le minacce esterne rappresentano ancora oggi la sfida principale e l’opportunità decisiva per il superamento delle debolezze domestiche dell’Unione: cioè per quelle trasformazioni senza le quali lo stesso progetto complessivo europeo potrebbe avere un futuro molto incerto.
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