Vittorio Parsi
Vittorio Parsi

Noi e Tripoli/L’occasione persa e quella da cogliere per l’Italia

di Vittorio Parsi
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Martedì 14 Gennaio 2020, 01:01
Uscire dalla logica del gioco a somma zero e cogliere invece, con realismo prospettico e senza vittimismi o velleitarismi, le opportunità che gli incontri di questi giorni possono offrire. Non c’è dubbio che il vertice di Mosca chiuda una stagione fatta di allusioni americane a una cabina di regia romana e illusioni italiane sull’appoggio europeo a un nostro protagonismo nella vicenda libica, peraltro mai assistite da concrete e sufficienti assunzioni di rischio e responsabilità da parte degli ultimi governi.
Preso atto di ciò, è opportuno considerare se la fase che si è inaugurata ieri ci consenta nuovi spazi di manovra, maggiori di quelli finora disponibili. Sulla crisi libica sia Mosca che Ankara (in parte trascinata dall’atteggiamento russo) si stanno muovendo verso una soluzione politica che non ha i toni del diktat.
Forti del loro esplicito appoggio anche militare ai contendenti Serraj e Haftar, russi e turchi stanno cercando un accordo ampio, stabile e duraturo che possa avviare a conclusione la lunga guerra civile, coinvolgendo in un disegno complessivo pure gli attori che avrebbero potuto pensare (sbagliando) di escludere dal tavolo della trattativa. Aspirano, cioè, a massimizzare il peso del loro intervento in Libia.

E lo fanno all’interno di un compromesso che, mentre ne attesti il ruolo di interlocutori legittimi, a sua volta riconosca anche gli interessi degli altri Paesi coinvolti, europei ed arabi. Il vertice dal quale potrebbe emergere una tregua meno precaria e provvisoria di quella attualmente in corso è stato infatti preceduto dall’incontro tra Merkel e Putin che annunciava la Conferenza di Berlino del prossimo 19 gennaio.

Sia Russia sia Turchia sono evidentemente consapevoli che non esiste nessuna realistica possibilità né di una soluzione militare né di un accordo di spartizione della Libia basata su reciproche ed esclusive sfere di influenza. Sarebbe una sfida aperta alla sicurezza europea e uno schiaffo in piena faccia agli Stati Uniti: insostenibile per Ankara e, alla fin fine, persino per Mosca. 

Diversa è invece la tutela dei propri interessi un una cornice multilaterale, in una “impresa comune” nella quale, evidentemente, le quote di capitale politico e militare investito vengono remunerate proporzionalmente. Il sostegno alla conferenza di Berlino non rappresenta quindi un “contentino” offerto alla Ue o alla Germania, ma una posta in un gioco a più dimensioni, nel quale abbiamo il dovere di partecipare. Si spiegherebbe così il fatto che l’Italia, solo pochi giorni fa, non abbia voluto sottoscrivere una dichiarazione congiunta troppo aspra nei confronti della Turchia e assumerebbe una logica diversa il nuovo attivismo di Conte con la sua spola tra Ankara e il Cairo.
Con scarso tempismo, il ministro degli Esteri Di Maio ha parlato di una forza di interposizione “stile Unifil” a guida italiana, oggi già dichiarata “prematura” da Bruxelles. Era forse un tentativo sgraziato di accreditare la nostra volontà di assumerci maggiori oneri, in un quadro di convergenza della volontà degli attori locali e internazionali a favore di una soluzione politica condivisa. Ma al di là delle fughe in avanti, dobbiamo sfruttare la nuova stagione inaugurata dal vertice moscovita per tutelare i nostri due principali interessi: evitare una crisi migratoria e proteggere gli assetti di Eni. 

Nel primo caso, paradossalmente, l’interventismo turco ci offre la chance di essere più ascoltati in Europa, giacché né la Ue né Francia o Germania trarrebbero vantaggio dal lasciare nelle mani di Ankara il controllo dei flussi libici oltre che di quelli balcanici. La semplice eventualità di uno scenario simile costringe i nostri partner e l’Unione stessa a prendere maggiormente sul serio la questione e consente a noi di far meglio valere la natura “europea” delle nostre ragioni, conferendo più forza alla rivendicazione di un nostro ruolo. 
Nel secondo caso le rivalità intra-europee resterebbero, ma comunque verrebbero riorganizzate in una partita dalle dimensioni geografiche più ampie (il Mediterraneo centrale e orientale) e con molti più giocatori con i quali triangolare. Mettiamo da parte illusioni e rimpianti, nella consapevolezza però che i giochi sono tutt’altro che chiusi.
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