Vittorio Emanuele Parsi
Vittorio Emanuele Parsi

Dagli Usa all’Italia/ L’alternativa Bloomberg e la tendenza che verrà

di Vittorio Emanuele Parsi
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Martedì 26 Novembre 2019, 00:39
Battere Trump e il suo estremismo non opponendogli una piattaforma radicalmente “liberal”, ma attraverso l’uscita dalla radicalizzazione e dalla polarizzazione. È questa la scommessa di Bloomberg: una scommessa audace dall’esito tutt’altro che scontato. Perché possa concretizzarsi, Bloomberg dovrà innanzitutto vincere le primarie democratiche, strappandole probabilmente a Elizabeth Warren, una candidata su posizioni e di formazione decisamente più “radical” rispetto al tre volte sindaco di New York, peraltro transitato abbastanza recentemente dal Partito repubblicano a quello democratico.
La scelta di Bloomberg si basa sulla presunzione di dover eventualmente faticare un po’ di più nel conquistare il voto degli iscritti e dei militanti, ma di essere poi facilitato nel portare a sé una parte cospicua del voto meno pregiudizialmente schierato, tanto di orientamento democratico quanto di simpatie repubblicane. Bloomberg punta sulla preoccupazione di fasce crescenti dei ceti medi (oltre che delle élite) circa i danni permanenti che il populismo identitario del presidente sta arrecando a un sistema istituzionale da tempo sottoposto a torsioni. In termini internazionali, ritiene che la politica “neo-jacksoniana” di Trump stia oggettivamente indebolendo quella rete di relazioni e alleanze – protetta e amplificata da innumerevoli istituzioni internazionali – che ha fornito agli Stati Uniti il vantaggio competitivo e fin qui esclusivo rispetto agli sfidanti: effettivi e potenziali.
Bloomberg si colloca nella lunga tradizione di leader che aspirano alla vittoria occupando il “centro” dello schieramento politico. Ma se la sua strategia si basasse solo su questo presupposto e sulla contrapposizione a Trump, temo non andrebbe molto lontano. Certamente esiste un elettorato perplesso dalla polarizzazione estrema e crescente della politica americana, ma il punto da cui partire è che Trump ha vinto perché ha offerto a quell’elettorato, che in buona parte lo ha seguito, un’inclusione alternativa e radicale (il populismo identitario) rispetto a quella incarnata da Hillary Clinton (liberismo e globalizzazione). Quel centro cui guarda Bloomberg si era gradualmente spostato verso destra già con Bush junior, il Tea Party, e l’onda lunga del neo-conservatorismo. Bloomberg, credo giustamente, ritiene che la strategia fin qui seguita dai democratici (la coalizione arcobaleno, la sommatoria delle minoranze che portò Obama alla Casa Bianca) non sia più la carta decisiva. Cioè che occorra riportare verso il Partito democratico il baricentro dell’elettorato. 
Per riuscire a farlo, dovrà elaborare una proposta che sia non solo chiaramente distinguibile da quella di Trump (e questa è la parte facile) ma almeno altrettanto credibilmente inclusiva per gli elettori che lo votarono tre anni fa. La più parte dei quali lo ha seguito perché gli altri candidati repubblicani erano altrettanto conservatori di Trump ma non fornivano risposte alla percezione (corretta) di marginalizzazione e impoverimento della classe media e, più in generale, di quelli che una volta si chiamavano i ceti produttivi.
La storia personale di Bloomberg, un self made man di orientamento progressista sui temi sociali e ambientali, gli offre una possibilità. Ma dovrà riformulare un progetto di “We, the people” credibilmente alternativo al “popolo” di Trump, capace cioè di ricollocare il popolo al centro di un discorso politico condiviso, liberandolo dal sequestro operato da una parte perché l’altra se ne disinteressava.
Si dice spesso che l’America anticipi le tendenze comuni dell’Occidente. Trump ha effettivamente anticipato e in parte “legittimato” il populismo identitario così sulla cresta dell’onda in Italia e in Europa. Anche per noi, italiani ed europei, sarà quindi molto interessante seguire le mosse di Bloomberg, per vedere se esiste una chance di superare il radicalismo di destra con qualcosa di differente da uno speculare radicalismo o dall’illusoria resurrezione di un moderatismo vecchio stile, incapace di rispondere alle ansie profonde delle nostre società democratiche.
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